giovedì 30 ottobre 2008

La verità, prima di tutto!

L'antifascismo è uno slogan compattatore di componenti politiche e sociali tra le più diverse. E il falso mito del pacifismo tradisce la sua sottile trama ipocrita di violenza totalitaria proprio quando tenta di avocare a sè il privilegio dell'esclusività e l'egemonia nel dissenso.

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venerdì 17 ottobre 2008

Risposta al Card. Cottier

Un'intervista di Gianluca Barile al Card. Cottier, Teologo della Casa Pontificia fino al Dicembre 2005, mi spinge a dover precisare alcune cose, dette dal porporato in solito stile conciliare in base a cui si potrebbero ricavare due opposte interpretazioni. E' il solito dico-non dico, ma potrebbe, però, tuttavia, sebbene...
Certi uomini di Chiesa non hanno più il coraggio di esporre la dottrina, ma foraggiano quella porzione, sempre più larga, di pseudocattolici manieristi di parole e concetti "innocui". Ma un vestito che sta bene a tutti non è più un vestito ma un poncho.

Veniamo a noi.
Alla domanda "Ci potrà essere salvezza per i non cattolici?" il Cardinale risponde: "Ovviamente sì. Dio giudicherà in base all’Amore, e quindi in base alle opere, anche chi ha professato altre religioni."
Benissimo, allora mi chiedo cosa stanno a fare ancora in piedi le chiese. Smontiamo tutto, lui per primo vada a lavorare, e buonanotte ai suonatori.
Ma le cose non stanno così. Il Cardinale farfuglia e contraddice il Magistero infallibile della Chiesa, la quale afferma:

Quanti vogliono conseguire la salute eterna devono aderire alla Chiesa, non diversamente da coloro che, per non perire nel diluvio, entrarono nell'arca (Catechismo di Trento, 114)

No, fuori della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana nessuno può salvarsi, come niuno poté salvarsi dal diluvio fuori dell'Arca di Noè, che era figura di questa Chiesa (Catechismo di S. Pio X, 169)

E' solo un assaggio, senza voler scomodare il Sillabo che nella proposizione XVI condanna proprio la negazione di quello che è un dogma di Fede: Extra ecclesiam nulla salus.
Ma scoltiamo anche il tanto famoso Concilio Vaticano II:
Il santo Concilio si rivolge quindi prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso, basandosi sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza. (Lumen Gentium, 14).
Infatti solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è il mezzo generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. (Unitatis Redintegratio, 3).
Non si esclude, è vero, che in altre religioni vi siano dei frammenti di verità e salvezza, retaggio dell'unica cabala di provenienza. Ma, appunto, la pienezza è solo nella Chiesa Cattolica.

Alcune considerazioni mie finali.
La Chiesa è viva, perchè formata da persone vive; perciò, nel suo insieme, viene spesso considerata come un individuo avente corpo e anima.
Il corpo è formato da tutti i fedeli, i quali credono alla dottrina di Gesù Cristo, obbediscono ai legittimi pastori (Papa e Vescovi) e ricevono i SS. Sacramenti. Capo di questo corpo sociale è il Papa; membra principali i Vescovi; membra secondarie tutti gli altri fedeli.
L'anima della Chiesa consiste in ciò che vivifica i credenti in modo soprannaturale e li mette in grado di compiere opere soprannaturali e degne di vita eterna. Quindi, cosa li vivifica e li fa agire in modo soprannaturale? La grazia santificante (i Sacramenti, come insegna il Concilio dogmatico di Trento), le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo. In questo consiste la vita o l'anima della Chiesa.
Ora abbiamo quattro possibilità: un individuo può appartenere:
1) al corpo e all'anima della Chiesa;
2) al corpo e non all'anima;
3) all'anima e non al corpo;
4) nè all'anima, nè al corpo.

1) Appartiene al I caso il cattolico in grazia di Dio; per il Battesimo è unito al corpo, per la grazia è unito all'anima.
2) Appartiene al II caso il cattolico in peccato mortale.
3) Appartiene al III caso chi ha la grazia di Dio ma non è cattolico. Ad esempio, un protestante validamente battezzato, il quale non ha peccato grave sulla coscienza. Costui non appartiene al corpo, perchè non è cattolico, non ha per capo il Papa, non è inscritto nei registri parrocchiali.
4) Appartiene al IV caso chi non è battezzato e ha commesso peccato mortale.

Per semplificare, perchè il discorso sarebbe lunghissimo, quelli del II e IV caso non si salvano.
Quelli del I caso, ovviamente, si salvano. Resta un discorso particolare per quelli del III caso.
Se sono in buona fede, cioè, sono fuori per ignoranza incolpevole e vivono virtuosamente, o, commesso per disgrazia il peccato, fanno un atto di dolore perfetto, essi appartengono all'anima della Chiesa e si salvano. Questo in teoria.
In pratica è difficilissimo dire chi, non appartenendo al corpo della Chiesa, appartenga tuttavia all'anima.

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mercoledì 15 ottobre 2008

Il Talmud - La Bibbia giudaica

Ecco cosa pensano i presunti "fratelli maggiori" dei cosiddetti "fratelli minori", che da minori si sono trasformati in minorati, giacchè non hanno capito proprio nulla della setta scismatica e razzista giudaica.


A completamento, cito il discorso che Gesù tiene ai Giudei a un certo punto:
Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.
Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole,
voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. (Giovanni 8, 42-44)

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sabato 11 ottobre 2008

Premio Nobel

Si sa che ormai il Nobel per la Fisica è stato assegnato a certi Hambu, Kobayashi e Maskawa e non al padre riconosciuto delle ricerche che hanno portato costoro ai risultati di cui il premio: il prof. Nicola Cabibbo.
Anche Striscia la Notizia se n'è occupata, senza però troppo chiedersi il perchè di una tale lampante omissione. Per la verità non è l'unica da parte della giuria svedese...
Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca!
Sarà mica perchè Cabibbo è nientedimeno Presidente (di nomina pontificia) della Pontificia Accademia delle Scienze, di cui fanno parte anche Rubbia e Montalcini, erede dell'antica Accademia dei Lincei, rifondata nel 1936 da Pio XI e depositaria della tradizionale esperienza scientifica vaticana fin dai tempi di Copernico (il quale era un sacerdote cattolico!)?
Sarà mica perchè l'anticlericalismo è ormai di casa nell'assegnazione dei Nobel? E perchè non un Nobel a Suor Miriam Stimson, cattolica scopritrice dei meccanismi del DNA negli anni '50?
Ma si sa, i Nobel sono per i vari Fo e Rame...
Egregio professor Cabibbo, le nostre più vive e sincere congratulazioni, per quanto possano valere. Lei è beneficiario di ben altri riconoscimenti, quelli che è solita assegnare la storia.


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martedì 16 settembre 2008

Strani jovanotti

L'ipocrisia sembra la cifra smaccata di questo maleodorante e rutilante mondo di cartongesso, dove si assiste al matrimonio religioso di un tizio, cantante e militante comunista di professione, che in un suo testo scrive:

Io credo che a questo mondo
esista solo una grande chiesa
che passa da CHE GUEVARA
e arriva fino a MADRE TERESA
[...
]
arriva da un prete in periferia
che va avanti nonostante il Vaticano

A parte l'irriverente paragone tra un terrorista e Madre Teresa, ma quel che più risalta, è lo sberleffo che il signorino tenta rivolto alla Santa Madre Chiesa e alla Sede Apostolica.
Il signorino oggi sposa una convivente che sfoggia un Roberto Cavalli; lui stesso è in frac e tuba e con una sfavillante Mercedes Classe S; lista invitati da reboante evento patinato, con annessa scenografia da fotoromanzo. Insomma, la febbre del fetido moralista prende tutti, soprattutto i novatori delle magnifiche sorti e progressive.
La verità è che tutti son froci, ma col culo degli altri. Chi vuol intendere, intenda...

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venerdì 29 agosto 2008

Juno e il possibile ciclone etico

Film disossante questo Juno, almeno per quanto è concesso di capire ad un polveroso reazionario come me.
Uno di quei film che tranquillamente ti vedresti munito del solito kit cinefilo di popkorn e cola, magari a fianco della tua ragazza, ma che alla fine rischia di farti andare di traverso la commediola sdolcinata che intanto ti saresti figurato in quella mente da smagato borghesone modernista, imbevuto di slogan, di sussiego e di futurista panglossismo. Ma...
Fare i conti con Juno è come depilarsi ad ogni sequenza di immagini e soprattutto ad ogni passaggio dei dialoghi (davvero apprezzabili), perchè la ghiandola pilifera che le sferzanti parole di strada di quella deliziosa ragazzina vanno a colpire, consta di sedimentati strati di omologazione culturale ad una ideologia che esclude, o meglio, reclude il miracolo della vita nella sfera delle cosiddette "scelte personali", al pari di una t-shirt rossa o blu, di un ceesburger con o senza cipolla.

Val il piacere di vederlo questo filmetto tanto scomodo per l'internazionale femminista quanto apprezzato dalla gente comune che non comprende come si possa mettere sul giornale annunci su "come avere bastardi, al pari di pappagalli e iguane".
Juno è semplicemente una ragazza che dice NO all'aborto!
E non si sopporta che una donna possa decidere e aprire, contrariamente, al possum, al volo. Giustappunto la volontà di questa ragazzina è il perno del film, atto espressivo di una tale potenza antropologica che lascia sgomenti famiglia e amici, rifiutando il raschiamento in una clinica femminista che sa di "anticamera di dentista" con nevrotiche vittime-pazienti, e dove le viene offerto, a conferma del nesso taciuto tra contraccezione e aborto, un preservativo al lampone affinchè il pisello sappia di crostata. Juno trova una coppia disposta ad allevare il suo "fagiolo" tra gli annunci, vicino la sezione "uccelli esotici". Dopo tutto bisogna solo "spremere e fare uscire il fagiolo"...
Juno è piccola, non ancora pronta per la maternità perchè "bisognerebbe innamorarsi prima di riprodursi": ma la sua opzione di libertà non si esercita nella negazione della vita.
Il film riesce ad essere non già un banalotto compromesso laico, ma, a mio parere, una piattaforma di partenza piuttosto.
Meglio la modernità sublime della ruota del convento medievale, meglio darlo in adozione dopo averlo fatto, il pesciolino. E' lo scacco inaspettato giocato al veterofemminismo, lo sberleffo, il pernacchio sonoro ai tumulti chiassosi dei professionisti della piazza che agitano paroloni di cui non ne conoscono nemmeno il senso. E sì, perchè quando un tecnico ecografo si improvvisa consulente morale di una adolescente, è come ammettere plausibile che un tecnico delle unghie si occupi di teologia. E nel film, questa mia deformazione, è espressamente emendata dalla matrigna di Juno.
Tutto si può fare, nel tempo in cui si è liberi di scegliere, tranne uccidere i bambini nel seno delle loro madri. E una società che civile voglia definirsi, con quale credito morale si presenta agli occhi delle sue varie componenti umane se considera più dignitoso salvare il Panda o il Gorilla, tutelare la biologicità del pomodoro San Marzano
dell’agro sarnese quando vuole trasformare l'utero della donna nel più grande laboratorio del III millennio?
La chiave della storia è il "no, grazie" all’aborto. Deciso così, con la leggerezza di un passo esistenziale qualunque, ma dovuto a qualcosa di misterioso, una sorta di eleganza dello spirito, un tributo spontaneo all’amore e alla responsabilità. Però, ecco la sorpresa modernissima e anche antichissima, degna, come detto, della vecchia ruota del convento ma nelle forme del XXI secolo, quel no è compatibile con il rifiuto della modernità. Per Giove!
I ragazzi pare siano costruiti per fare sport, per consumare immagini, per fidanzarsi e sfidanzarsi a caso, non sanno letteralmente che cosa nella loro esistenza superi la dimensione dell’ormonale, la piattezza dei desideri senza molta speranza. Le loro pulzelle fricchettone invece la sanno lunga, e il film parla alle donne e solo a loro: sono ciniche quanto basta per sembrare credibilmente un pezzo di realtà e di società. Hanno il sogno incorporato nella loro natura umana creaturale, danno vita al mondo, senza se e senza ma.
Juno parla del vero potere femminile, che è un’alleanza di natura e cultura anche inconsapevolmente vissuta, un’allegria di vivere che trionfa non appena si spegne, nella fila alla clinica dove le vecchie generazioni di donne avvilite dall’ideologia si grattano, si graffiano e si maltrattano, la coazione a odiarsi e a mutilarsi dell’altro-da-sè.

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giovedì 14 agosto 2008

Famiglia s-cristiana

In questi giorni infuria la polemica su Famiglia Cristiana.
Il Direttore della Sala Stampa Vaticana, Padre Lombardi, fa sapere che Famiglia Cristiana non ha nessun titolo per rappresentare la posizione della Santa Sede e della CEI.
Era ora.
Meglio che non intraprenda la disamina delle autentiche porcate teologiche scritte negli anni da questa rivista da spiaggia nudista, visto che, comunque, i culi ce li ha già inseriti ufficialmente da Novembre 2005. Anche la "famiglia cristiana" ha un culo. Che mondo eccezionale!
Il culo "Cristiano" ce lo abbiamo già. A quando la gnocca "Benedetta"?
Ma veniamo a noi e ad una breve riflessione (correrei il rischio di infestare anche questo santo angolo di buon senso editoriale).

Questa rivista, che troneggia sui tavolini delle nostre parrocchiette, spacciata come "cattolica" ma che di cattolico non ha niente se non il culo (questo sì, molto cattolico!), ha trasformato (ma forse è stato sempre così) le sue pagine in falci e martello da ideologismi della sinistra castrista. Per non parlare delle fregnacce dei vari teologi che si aggirano per la rivista (come Falsini) o di presunti abati (e chi lo ha mai benedetto?), come Enzo Bianco, di presunte comunità monastiche (con quale approvazione pontificia e quale inquadramento canonico?). E' una rivista da buongustai dell'incontinenza verbale e della ciarla luogocomunista. Rivista da compagnucci della parrocchietta, da rivoluzionari conciliaristi alla Melloni, da democristiani alla Dossetti.
Un tipo di cattolicesimo con tanta panna e miele, il volemose bene cartaceo del cattolicesimo militante che fa soldi a palate con la boutade della solidarietà e del volontariato (questo tipo di cattolicesimo è stato il primo a capire che il cosiddetto volontariato è la porta di servizio per entrare nel mercato affarizio delle clientele e dei "piazzamenti" sociali; tanto è vero che la sinistra, che fessa non è, ne fa il verso e cerca di accaparrarsi il mercato immigratorio e sociale con le coop).
Il direttore della (ex) mite rivista dei Paolini ha capito che se continuava a servire camomilla, forse sarebbe riuscita a garantirsi il mercato delle perpetue e dei don Abbondio, ma avrebbe dovuto attrezzarsi a essere venduta non solo nelle chiese ma anche nelle cappelle cimiteriali.
E allora si mette a fare il politicante e il maestrino.
Quando c’erano in ballo i Pacs, le unioni di fatto, chiamate in Italia "Dico", Famiglia cristiana intervistò per due pagine la Bindi che difendeva le sue idee pro-Dico, e diede dodici righe al Papa che li scomunicava. Titolo di copertina ambiguissimo: "Meno Dico e piú famiglia". Si deve pur galleggiare. Semmai è su posizioni di etica sociale che Sciortino può traballare. Non per la politica...
Con il suo azzeccagarbugli e compagno di merenda, il gesuita Bartolomeo Sorge (da cui l'autore di questo blog attende ancora una risposta alla polemica personale su alcune questioni dottrinali), spara a zero sempre sul Berlusca e le politiche "reazionarie" italiane, forse per conservare il suo posto di direttore: basta urlare e si conserva il posto, per la nota attitudine vaticana a evitare gli scandali...
Insomma, Don Sciortino meriterebbe che il tavolo delle sue cartuccelle prodiane gli fosse tirato in testa da quell'energumeno reazionario di nome Camillo. Prete almeno quanto lui.


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mercoledì 6 agosto 2008

Fosse Ardeatine: fu giusto

Il mestiere delle armi è il più antico. Questo blog non è pacifista, ma professa la pace nell'Ordine, che è ben diverso. Il pacifismo è un istmo, un'ideologia. Come tutte le ideologie, è cieco, astratto, orizzontale, violento (sì, violento) e fumoso. Non è latore nè di valori, nè di progetti. Il pacifismo è ateo, innaturale, contorto e criminale. Il pacifismo è neutro, non presuppone nè suggerisce una verità. Cristo non fu mai pacifista (e come può la Verità assumere i caratteri della neutralità?): i frequenti ricorsi al termine "pace", sia nel VT che nel NT della Bibbia, non sono mai disgiunti dal concetto di ordine e "pace da Dio". Non comprenderemo mai il significato della pace cristiana al di fuori del concetto di verità, di ordine, di equilibrio, di gerarchia. Pensate, appunto, alla cattedrale gotica e al suo senso di progressione estetica e teologica dall'esterno (i gargoyles) all'interno (il sancta sanctorum, centro liturgico e sacro del Tempio). E' indicativa dell'universo gerarchico, ordinato di quello splendido periodo storico di rinascimento che fu il cosiddetto Medioevo: La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove (Dante, Divina Commedia, Pd. I, 1-3).
Chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. (Luca 22, 36.37)
La Verità costa il prezzo che ha l'esclusione, l'imputazione e la condanna: cum iniustis deputatus est.
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. (Matteo 10,34)
Nella dottrina cattolica la guerra non sempre è illecita: la guerra - calamità spaventosa - sia difensiva che offensiva può essere lecita, quando vi è un motivo giusto tanto grave da permettere mali gravissimi quali sono quelli connessi con la guerra stessa (Jone, Compendio di Teologia Morale, 220).

Ad esempio, la liceità risulta in genere dal fatto che è permesso difendersi contro un ingiusto aggressore (la cosiddetta "guerra preventiva" di G. Bush non è proprio una castroneria giuridica).
Nella condotta della guerra è lecito tutto ciò che è necessario o utile al raggiungimento del fine, purchè non proibito dal diritto naturale o divino o dal diritto delle genti.
Attenzione: abbiamo detto diritto naturale, divino e delle genti.
Sentiamo come recita l'art. 51 della carta dell'ONU: nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite.
Dunque gli USA sono intervenuti lecitamente in Iraq e Afganistan.
E anche la Convenzione dell'Aia: la popolazione ha l'obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività dannosa nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi.
Ecco il diritto di rappresaglia, sancito dal diritto internazionale. E siamo all'attentato di Via Rasella, in conseguenza di cui ci fu la legittima rappresaglia delle Fosse Ardeatine da parte delle forze naziste.Secondo il diritto internazionale (Art. 1 della convenzione dell'Aia del 1907) un atto di guerra materialmente legittimo può essere compiuto solo dagli eserciti regolari ovvero da corpi volontari i quali rispondano a determinati requisiti, cioè abbiano alla loro testa una persona responsabile per i subordinati, abbiano un segno distintivo fisso riconoscibile a distanza e portino apertamente le armi. Ciò premesso, si può senz'altro affermare che l'attentato di Via Rasella, quale ne sia la sua materialità, è un atto illegittimo di guerra per essere stato compiuto da appartenenti a un corpo sì di volontari che però, nel marzo 1944, non rispondeva ad alcuno degli accennati requisiti.
Lo Stato, solo successivamente, considerò come propri combattenti i partigiani che avessero combattuto contro i tedeschi.
Contrariamente alla vulgata Priebke non è stato condannato per la fucilazione delle Fosse Ardeatine. Tale atto, col termine di rappresaglia, rientra nel codice internazionale di guerra e prevede l'esecuzione di dieci ostaggi per ogni vittima di un attentato compiuto da forze non in divisa. La condanna, che era stata inizialmente comminata solo al superiore diretto, Kappler, era derivata dal fatto che i fucilati furono 335 a fronte di 33 soldati assassinati con terrorismo dinamitardo in via Rasella dalla cellula comunista di Capponi e Bentivegna. Attentato che i comunisti compirono non solo perché causò l'eccidio di soldati tedeschi disrmati della sussistenza ma portò alla rappresaglia che decapitò buona parte della dirigenza partigiana non legata al Pci, ai "popolari" (Dc) e al partito d'azione.
Il caso Priebke è quello di un abominio giuridico. Processato una prima volta non fu ritenuto colpevole del numero eccessivo di cinque fucilati (unica accusa mossa) essendo la verifica del numero un compito che spettava a Kappler. La difesa non entrò in merito argomentando che a via Rasella oltre ai 33 soldati tedeschi vennero assassinati tre civili italiani, tra cui un bambino, e che in linea teorica la rappresaglia poteva forse essere considerata legittima fino a 360 uomini.
Fu molti decenni dopo che, presi dalla foga del castigamatti global, e utilizzando in modo molto disinvolto la non prescrizione del "crimine contro l'umanità" certi signori reclamarono Priebke dall'Argentina e lo processarono nuovamente infrangendo ogni elementare diritto alla difesa. Priebke venne assolto dal delitto più grave ma mantenuto in prigione con la forza, riprocessato una terza volta e infine sacrificato sull'altare del giustizialismo spettacolo.

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domenica 3 agosto 2008

L'ineguaglianza degli uomini

Senza l'assoluto rischio della trascendenza, tutto è uguale, poichè la differenziazione gerarchica è priva dei suoi costituenti fondativi: l'asse assiologico risulta essere sostanzialmente orizzontale.

L'uguaglianza degli uomini è un reato contro la natura.
Come altrove accennato (La Modernità), la modernità si costituisce come frattura, perversione che non smette di affascinare anche le frange più reazionarie, o sedicenti tali.
Nemmeno il cattolicesimo ne è immune, giacchè il Novecento segna l'ingresso compiaciuto della eresia nelle prassi pastorali, offrendo, altresì, la possibilità non remota di corrodere il telaio dottrinario fin qui ancora mondo da certe concessioni.
La combustione del pensiero filosofico occidentale deve alla crisi della metafisica il suo principio reattore. La modernità non è che la manifestazione di processi dissolutori della tradizione, della cabala così come giunta e custodita fino a noi.


Ad un certo punto della storia, si introdusse una prassi intellettuale di demolizione dei fondamenti che da sempre costituivano i principi della società a direzione aristocratico-religiosa. La civiltà, fin lì, aveva sempre riconosciuto come uniche sorgenti di legittimazione morale del potere politico tre attività nobilitanti: l'amministrazione del Sacro, l'arte della guerra, il lavoro della terra.
Si concordò di opporsi a quelle coordinate di comprensione del mondo, ponendo tra parentesi l'esperienza cristiana (liquidata col termine di "Medioevo") e costituendosi arbitrariamente senza soluzione di continuità in contatto con la cultura classica.
Nacque l'Umanesimo.
L'aristotelismo era inadeguato per la soluzione della complessità del mondo e la trascendenza scese al rango di mera ipotesi affiancata ad altre di altro tipo. La spinta soprannaturale delle cose è ormai sperimentata come un fatto privato (ben prima, quindi, delle arroganze laiciste della rivoluzione totalitaria francese), oltre il cui solco v'è soltanto superstizione.
Da qui la motivazione della ribellione luterana: è l'annuncio dell'eclisse di Dio come partecipazione istituzionale, corale, sociale, come ermeneutica stessa della società.
Si articolerà poi, ma trovando il suo fondamento in questa nuova configurazione culturale, la secolarizzazione dell politica e una vera e propria trasfigurazione religiosa della sovranità, dove, mancando la ricapitolazione trascendentale delle cose, lo Stato si prevede fondamento della morale e vero e proprio potere spirituale. Cesare è Dio.
L'atomizzazione della civiltà agraria, dunque, rende possibile lo sviluppo di un'etica che riconduce l'individuo all'esterno del perimetro di valori costituito dal binomio di sangue e suolo. La nuova economia, peraltro, ideata e avviata proprio in Italia, disarciona l'uomo dai contesti identitari che lo caratterizzano, lo specificano, lo "fanno". La nuova logica del mercato è astratta, fumosa, il mito umanista dei diritti universali è astratto, la chimera dell'universalismo profano è astratta.
Non c'è più l'uomo, quello vero che vive e parla una lingua, che ha una religione ed è parte di una comunità, inserito in una storia e latore di una specifica cultura (in qualche modo, l'uomo dei capp. 2 e 4 della Germania di Tacito): c'è l'appiattimento, prima che sociale, antropologico di un uomo identico agli altri.
Privato della sua naturale tensione oltretombale, trascendente, l'uomo è belva.
Come una belva, infatti, l'uomo moderno scopre un orizzonte di terre inesplorate, l'abisso etico, la privazione del senso: nasce anche il romanzo moderno, dove però l'eroe non è più Enea che si fa carico del padre Anchise, la Tradizione. L'estinzione delle antiche classi dirigenti militari e spirituali lascia il mondo sgomento.

La fine del Kathekon
La teoria gelasiana dei duo luminaria e la filosofia tomista affidano al potere temporale la funzione di Kathekon, l'"ostacolo" al prevalere delle forze dissolutorie dell'Anticristo.
L'Impero Romano prima (non a caso Cristo "sceglie" quel momento per l'Incarnazione, in un momento in cui l'ordine era fondato sul diritto e garantito da un'autorità), il Sacro Romano Impero dopo, rappresentarono storicamente il kathekon dell'Occidente, il contenimento e la preservazione da volontà esogene di smarrimento dei principi costitutivi della Cristianità europea. Il presidio della verità cattolica in tutta la sua pienezza e la sua intemerata predicazione aveva il potere di frenare lo sviluppo della perversione e delle forze del male anche nel mondo laico e fra i non cristiani: era, quindi, il kathekon, soprattutto un disegno di organizzazione metapolitica della società.
Oggi, invece, una tipologia di organizzazione semplificatrice, antigerarchica e anticastale egemonizza e guida i progetti di costruzione del patto sociale fra i soggetti: l'ideologia democratica.
Ideologico è, infatti, l'assioma della semplificazione dell'uomo. L'ineguaglianza, viceversa, non è ideologica poichè la sua stessa missione è quella di restituire l'uomo alla complessità delle sue dimensioni plurali, alla eterogeneità delle sorgenti di formazione , alle varie declinazioni esperienziali: il ripristino della poliedricità nell'ordine. L'ineguaglianza è Ordine, poichè ramifica il corpo sociale in ulteriori corpi e articolazioni organiche, in cui il processo di accoglimento della universalità è mediato e non traumatico, non conflittuale.
La blaterata uguaglianza è frammentazione, è polverizzazione patologica dell'uomo scaraventato in un mondo nato sull'assurdo storico del primato della ragione.
Il Medioevo aveva reso architettonicamente questa verità attraverso lo stile gotico. Dante con la Divina Commedia. Manzoni con la tematica della Provvidenza.

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venerdì 27 giugno 2008

La depravazione statale

Un innocuo sapore di fragola, ovvero: il sesso chiedi e gusta spiegato ai ragazzini delle scuole medie.

di Rodolfo Casadei

Strano posto, il territorio della provincia di Milano: se in una famiglia a una bambina capita di ritrovarsi sotto il banco a scuola un disegno pornografico con annessa legenda secondo la quale lei fa sesso a pagamento con suo fratello, quei genitori si vedranno portare via i figli perché non hanno esercitato a dovere la loro responsabilità di adulti. Se invece altri adulti insegnano a dei ragazzini di 13-14 anni come si pratica il sesso orale, spiegano che in caso di gravidanza possono ricorrere all’aborto senza parlare coi loro genitori o che l’età giusta per avere i primi rapporti sessuali è 15-16 anni, a questi adulti non succederà niente di male, anzi: lo Stato li pagherà per il loro lavoro, perché quello che stanno facendo si chiama, proprio così, "educazione sessuale".


Per carità di patria non facciamo il nome delle scuole. Ma quello della zona sì: la zona 9 di Milano. Lì da alcuni anni nelle scuole medie inferiori viene portato, previa approvazione del singolo istituto su proposta di qualche commissione di docenti, un Progetto di educazione all’affettività dove ai ragazzini viene spiegato tutto ma proprio tutto, tranne l’affettività. Il progetto non è farina del sacco degli insegnanti (benché i lavori delle commissioni, 20 ore all’anno, siano retribuiti a 18-20 euro all’ora coi soldi del fondo di istituto), ma è calato dall’alto dall’Asl locale. Diciamo calato dall’alto perché è difficile definire diversamente un progetto che gli esperti dell’Asl presentano agli insegnanti della commissione che si è rivolta a loro nei seguenti termini: i contenuti sono quelli che vengono esposti e sono insindacabili, non si possono modificare o integrare, si può solo prendere o lasciare; durante le lezioni di dottoresse e psicologi loro, gli insegnanti, dovranno stare fuori dalla porta, affinché i ragazzi siano più liberi di esprimersi; da quest’anno il progetto, che è finanziato all’Asl dalla Regione (le scuole non devono pagare niente), va approvato e attuato non più su base annuale ma triennale: bisogna legarsi mani e piedi per tre anni a quello che l’Asl decide di fare.
Naturalmente le responsabili del progetto invitano anche i genitori dei ragazzi a un incontro di un’ora per presentare loro il lavoro che faranno coi figlioli. Ma pare che tacciano almeno un paio di circostanze: per esempio quella che gli insegnanti sono tassativamente esclusi dalla partecipazione alle lezioni; e per esempio quella che fra le informazioni trasmesse ai ragazzi c’è pure il fatto che possono rivolgersi ai servizi sanitari per interrompere un’eventuale gravidanza senza parlarne coi genitori. Un argomento fieramente dibattuto nei faccia a faccia con gli insegnanti, alcuni dei quali avrebbero obiettato che dire a un 13-14enne che ha facoltà di decidere di abortire senza nessun riferimento all’autorità dei genitori non è propriamente educativo. Significa investirlo di un senso di onnipotenza negativo per la sua crescita e per chi gli sta intorno. Ma quelli della Asl hanno replicato che la legge 194 prevede tale facoltà, che è loro compito informare in maniera completa ed esaustiva i ragazzi, in quanto non è automatico che alle medie superiori verranno correttamente informati, e perché il problema potrebbe presentarsi. La nuda informazione, senza interferenze da parte di giudizi di valore su cosa è giusto o sbagliato, bello o brutto. Tranne uno: che bisogna fare il possibile per evitare di contrarre malattie o gravidanze indesiderate.

Penna, quaderno e profilattico [una volta erano i massonici squadra e compasso, ndr]

Questa è la filosofia del Progetto educazione all’affettività. Gli insegnanti non sono ammessi ai corsi, ma i ragazzini parlano, e raccontano come si svolgono le lezioni. Lo spunto è dato dalle loro domande, raccolte per iscritto e in forma anonima in classe prima dell’incontro con la ginecologa. Costei parte dal singolo interrogativo per sviscerare l’intera materia. C’è sempre qualche curiosità circa il sesso orale, che dà la stura a spiegazioni dettagliate sui profilattici: «Per il sesso orale si usano preservativi al gusto di frutta», si sentono dire gli allibiti 13enni, «per il rapporto anale serve un preservativo più resistente, per i rapporti vaginali ne basta uno normale».
I profilattici fanno parte dei sussidi didattici, così come un pene e una vagina artificiali, che vengono fatti passare fra le mani di ragazzi e ragazze. A volte vengono invitati loro stessi ad applicare il coso di gomma sull’organo maschile, a volte fa tutto l’esperta della Asl. «A me non è piaciuto vedere la signora che continuava ad allungare il preservativo e poi ci ficcava le mani dentro», commenta un ragazzino.
Una delle ossessioni degli adolescenti maschi, si sa, è la misura del membro: nelle domande l’argomento torna spesso. «Cosa succede se il membro maschile è molto lungo?», diceva per esempio una domanda. Risposta: «Non succede nulla, la profondità della vagina è sette centimetri, più in là non si va. Anche Rocco Siffredi ha a disposizione solo quello spazio». L’aver evocato il Rocco nazionale ha indotto domande improvvisate sull’argomento: ma come fanno i pornoattori a fare quello che fanno? E per di più senza il profilattico che voi ci state caldamente consigliando? Risposta: «Quello che vedete al cinema è un montaggio di immagini. Nessun rapporto dura così a lungo come fanno vedere. E l’eiaculazione avviene sempre fuori dalla vagina». Un tempo c’era chi bigiava la scuola per frequentare cinema a luci rosse, adesso non c’è più bisogno: vai a lezione ed è quasi la stessa cosa.
Non tutti riferiscono le stesse cose. Secondo alcuni ragazzi il linguaggio è sempre scientifico e rigoroso, secondo altri «non abbiamo mai sentito dire tante parolacce da degli adulti come quel giorno». Le informazioni legali sul diritto all’interruzione di gravidanza non sono state sempre comunicate come era stato preannunciato agli insegnanti, ma solo dicendo che si può legalmente abortire nei primi tre mesi. Ma il paradigma generale è chiaro: dietro l’abito di una comunicazione puramente informativa su base scientifica e legale viene lasciata passare l’idea che in materia di sesso ognuno/a può fare quel che gli/le viene in mente senza porsi domande, se non circa le probabilità di beccarsi una malattia o una gravidanza non desiderata. Nessuno spiega ai ragazzi che quello che si vede nei film non è il modo giusto di vivere la sessualità. Nessuno gli racconta che il sesso è qualcosa di molto più affascinante e complicato di un meccanismo messo in moto da curiosità pruriginose. Sperma e gomma, gomma e sperma: nient’altro.

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lunedì 23 giugno 2008

Cacciato un giornalista dal Vescovo

La notizia è battuta sulle agenzie come i tamburi di Moria. E chissà che non esca ora, questione di minuti, il solito orco delle caverne anticlericale, o la ciabattina cattocomunista a inveire o aggrottare la fronte perchè la chiesa così, la chiesa cosà...

Mbè, quello che Mons. Mattiazzo, Arcivescovo di Padova, uno che la gavetta l'ha fatta come Nunzio in Africa, titolare della sua Diocesi da ben 23 anni, ha fatto è cosa buona e giusta e non sta a noi contare i peli della vicenda.
Un Vescovo è Re nella sua Diocesi e può fare quello che vuole, quando vuole.
Come successore degli Apostoli, egli ha ereditato per diritto divino, e come anche ricorda il nostro blog, il triplice potere di istruire, di santificare e di governare una porzione del gregge di Cristo (Mt 28,19).
Dov'è il problema? Nelle maniere? Ognuno ha quelle che ha.
Nell'inopportunità dell'azione pubblica? Sappiate che, nel momento in cui il sig. Gianni Biasetto ha varcato la porta della chiesa, si è sottoposto al giudizio e alle regole del padrone di casa, il parroco, che ne ha giurisdizione: e, in specie, al Vescovo, che di tale giurisdizione ne è il responsabile.
Ritenendolo evidentemente inopportuno in quella circostanza, Messa o non Messa, e ricordandosi che prima lex est salus animarum, lo ha trattato come un comune penitente, il quale si può tranquillamente allontanare dalla chiesa per non destare scandalo nei fedeli (ricordo, a tal proposito, che per scandalo si intende la possibilità offerta ai fedeli di proporre modelli sbagliati e insidiosi di condotta e statura morale).
Per di più, è penitente contumace, non essendosi presentato in foro esterno al giudizio del confessore (poichè il vescovo ha ravvisato nei suoi articoli o nella sua cronaca dei fatti un atteggiamento pregiudiziale e professionalmente scorretto, oltre che oltraggioso).
Di qui al fatto il passo è breve e il contumace, convinto di aver riprodotto esattamente e con solerte e specchiata buona fede i fatti, si è visto trattare come dovrebbero trattarsi i flentes, coloro, cioè, che non dovrebbero essere ammessi al Sacrificio Eucaristico poichè in grave debito con il tribunale del sacramento della Confessione.
Il vescovo ha esercitato le sue funzioni e con un atto di governo, insindacabile (poichè la Chiesa non è democratica, checchè ne pensino Bindi, Prodi e Franceschini vari), ha sbattuto fuori un pettegolo arrivista.
Tutto qui.

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mercoledì 18 giugno 2008

Le benedizioni wireless

Avevate mai sentito parlare di benedizioni aeree? O peggio, avete mai assistito a benedizioni delle chiavi, quando invece avevate chiesto la benedizione della vostra auto? O la benedizione dello zerbino che inonda di grazia l'intera casa?
Fantascienza? Fantascemenza? No, cattolicesimo dell'ultima ora!

Succede sempre più spesso, soprattutto nei santuari, veri torrenti di benedizioni lucrative, che poco hanno a che fare con la nostra vera fede, molto invece con il cattolicesimo "adulto" bolognese dei Dossetti, Alberigo, Melloni vari...
Capita di dover contrattare un centimetro in più di benedizione, o un tratto di aspersione in più perchè tre sono troppe per lo stanco polso del sacerdotuncolo di turno. Avessimo ancora qualche Don Camillo sparso qui e lì, gli ospedali sarebbero pieni di gente con le ossa rotte, con le talari (ad avercele!) sequestrate de iure, e una bella zappa per onorare l'articolo 1 della Costituzione diccicomunista.
Ma i tempi sono cambiati, egregio e infaticabile Don Camillo. I tuoi tempi non ci sono più, li ha spazzati via il concilio delle tavole calde, delle aperture, degli slanci e delle magnifiche sorti e progressive...
No country for old men...
In attesa che i liturgisti (ormai son loro che decidono cosa è buono e cosa no; quale rito seguire e quale no, se lo show di Bugnini o la messa de toujours) diano lumi, mi permetto di osservare che:

  • bisogna seguire i Rituali della Chiesa
  • che vabbè che talora la materia e la forma consistono nel semplice segno di croce, ma qualche decilitro di acqua santa non credo metta a rischio gli equilibri ambientali di "Gaia"
  • che, prima di tutto, l'oggetto o soggetto da benedire deve essere presente fisicamente

Detto questo, mi appello a quanti di voi hanno ancora il buon senso: pretendete che i preti facciano i preti!

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venerdì 13 giugno 2008

Insania neocatecumenale

Questo blog prende risolutamente le distanze da ciò che viene commettendo la gerarchia della chiesa cattolica, rendendo riconoscimento pubblico e definitivo ad una setta scismatica ed eretica, che lambisce da anni ed anni le pieghe più oscure ed empie della aberrazione teologica e dottrinale.
Il catechismo kikiano, il rito pseudoliturgico kikiano, le contaminazioni talmudiche e farisaiche che stanno alla base della ecclesiologia dell'Arguello, feriscono drammaticamente il Popolo di Dio.
Il Cristo-Dio è ucciso.


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martedì 27 maggio 2008

Una lettura del presepe napoletano

A breve un particolare affresco della umanità pravità, finemente rappresentato e totalizzato nella somma teologica del presepe napoletano settecentesco.

Qui il resto del post

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venerdì 25 aprile 2008

L'Apostolo dalla poca fede?

Nell'immaginario collettivo San Tommaso è colui che fa il pignolo, è colui anche che mentre Gesù risorge e appare agli Apostoli (che pure altamente snobbarono di andare in Galileia ad incontrarLo, tanto da continuare a grigliare il pesce (Lc 24,41)), lui si permetteva il lusso di essere assente...
Ma quali impegni fecero assente Dìdimo?
Ma soprattutto, per quale motivo questo Apostolo ottiene il privilegio singolare di un'apparizione supplementare? Eh sì, perchè credo che questo viepiù interessi a noialtri, ben indaffarati viceversa se non a grigliate, ad affari, commissioni, impegni, catechesi magari...O forse un'oretta di sano volontariato che sia il medico che il demonio scaccia via? O forse la nostra quotidiana timbrata di ticket alla Charitas o all'AC, che tutti fanno più santi e certi di celesti glorie?
No amici miei, la sorpresa è come sempre nello stile evangelico, cioè tra le più inaspettate e pruriginose: chè la salvezza, presso noialtri romani, deriva unicamente da quella professione di Fede che esattamente nemmeno Pietro e gli altri mancarono di fare. Come a dire che l'uomo è incapace a salvarsi da solo. E' tutto fatto da quel Divin Figlio: a noi non resta che amare l'unica cosa che ci ha lasciato, la Chiesa, i Sacramenti. L'adesione.
Ecco cosa meritò il privilegio e che buona parte dei goffi pretastri tace o ignora, forse perchè una tessera val più che un confessionile:

I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?».
[...] Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». (Giovanni 11,8.16)

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Matrimonio e contratto

Il matrimonio cristiano, cattolico ma pure protestante, è un contratto e solo quello.
Lo stesso contratto è elevato a Sacramento; al contrario, se ciò cadesse nella disgrazia di non essere così inteso, si potrebbe sottomottere il matrimonio alla potestà laica e sottrarlo alla potestà ecclesiastica, promulgando e propagando il cosiddetto matrimonio civile. Se ne ricava, quindi, che codesto matrimonio è contratto naturale, vero ed onesto.
E' tesi prossima alla Fede che contratto e Sacramento sono una sola e stessa cosa, guai a dividerli. E' lo stesso contratto ad essere causa efficiente di Grazia nei contraenti, i coniugi.
Ecco la proposizione del Sillabo condannata dal Pontefice Pio IX:

Matrimonii Sacramentum non est nisi quid contractui accessorium ab eoque separabile, ipsumque Sacramentum in una tantum nuptiali benedictione situm est.

E ancora il Concilio di firenze nel decreto pro Armenis: [...] Causa efficiens matrimonii regulariter est mutuus consensus per verba de praesenti expressus.


Insomma, è lo stesso contratto che produce il Matrimonio, cioè il Sacramento.
Il consenso dei coniugi, indipendentemente da ogni benedizione e formula sacerdotale, quindi anche senza di questa, produce il contratto naturale che è Sacramento. Tra contratto e Sacramento non c'è alcuna distinzione.
Il grande Manzoni, da quel grande esperto in dottrina cattolica qual era, ce ne offre un saggio nell'episodio dei Promessi Sposi, allorquando Renzo e Lucia cercano di sorprendere Don Abbondio e sposarsi di sorpresa, facendone un testimone forzato in seguito al Decreto Tametsi del Concilio di Trento che apponeva l'impedimento dirimente della clandestinità.
Con il Decreto Ne Temere, entrato in vigore a Pasqua del 1908 e accolto pienamente nel CIC del 1917, la Chiesa estende universalmente (precedentemente non c'erano i mezzi) i contenuti disciplinari del Tridentino, chiudendo ancora di più le maglie per i Ministri del contratto che erano e restavano unicamente gli sposi.
Infatti, la materia del sacramento del matrimonio è il corpo dei nubendi. Uno lo dona all'altro e riceve in cambio il suo corpo: contratto, compravendita, sinallagma. La forma è l'accettazione di quel contratto: sì!

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Morale e preservativo

La questione la considererei soluta solo a patto di chiarire alcune cose, stimolate da una personale discussione con alcuni studenti di teologia, asserenti la venialità morale dell'uso del preservativo.
Spero di organizzare al meglio quanto mi accingo a confutazione di quella.
Partiamo dalla fornicazione: la fornicazione è la copula consensuale tra due persone non legate da nessun vincolo di parentela, matrimonio, voto o ordine, se non quello precettivo di castità. Questo, per distinguerlo da ben altri casi più specifici, come lo stupro, che non è consensuale.
La copula è l'atto idoneo a generare la prole; può essere perfetta e imperfetta.

La copula perfetta consiste nella penetrazione con inseminazione; la copula imperfetta consiste nella penetrazione ma senza inseminazione.
La nostra attenzione è proprio sulla copula imperfetta, la quale se non procede alla inseminazione o interrotta, non è propriamente fornicazione, ma contatto impuro con orgasmo che può essere in altra parte completato...
Tuttavia, la copula imperfetta nella quale artificialmente si blocca l'effusione del seme, non è una semplice fornicazione (che rientra nei casi dei peccati iuxta naturam), ma onanismo, che differisce in specie essendo un peccato contra naturam. Peggio.
Cosa è l'onanismo? E' la copula attuata in modo tale che dall'effusione del seme non possa seguire la generazione.
Tra i vari mezzi predisposti a questo fine, si deve distinguere in relazione all'atto specifico e alla cooperazione del partner.
a) La copula naturalmente interrotta, ma il disordine morale interviene o durante o dopo: coito interrotto o detersione del "vaso" femminile. La colpa è di una sola parte.
b) La copula porta con sè il disordine morale già dall'inizio: preservativo, diaframma, spirale o pillole. L'atto pertanto è contro natura fin dall'inizio ed entrambe le parti in causa sono cooperanti.
L'onanismo è un attentato al matrimonio, alla dignità del coniuge e al bene della società.
Il Magistero lo dichiara intrinsecus malum, iure naturali prohibitum (Sant'Uffizio, 19 Aprile 1853; Enc. Cast. Con.)

E mi si conceda anche, qualora si insista sulla venialità, di domandare perchè mai Onan riceve la morte in castigo dal Signore per i suoi gravi delitti: introiens ad uxorem fratris sui semen fundebat in terram (Gen 38, 9-10).

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Simbolismo e Liturgia

Lo strutturalismo ci consente di capire meglio alcune cose che è bene vadano spiegate.
Saussure introduce le nozioni di significato e significante. Il significante (suoni, disegni, gesti) è il veicolo del significato, concetto espresso dal segno.
Senza dilungarmi in materia linguistica, vengo alle nostre lande.
Simbolo significa letteralmente una cosa che sta in relazione con un’altra, ossia ciò che rappresenta sensibilmente qualche cosa che non cade sotto i sensi. Così, ad esempio, nei primi tempi cristiani la conoscenza del Credo ed il segno della Croce erano simboli, segni che facevano riconoscere il cristiano.
Presa in senso ampio, la parola simbolo vale come segno sensibile, significante appunto, che può rappresentare qualche altra cosa; in questo senso tutte le azioni mimiche che il sacerdote compie nella Liturgia come inchini del capo o del corpo, genuflessioni, giungere le mani, sono azioni simboliche, elementi semiotici.
In senso stretto e per quanto ci riguarda, credo doveroso stringere le maglie e affermare che in senso stretto e rigoroso, simbolo è quel segno nel quale la mente scorge un’analogia con un’altra cosa dal segno generico, ma concreto e determinato proprio da quella cosa che è ordinato a rappresentare.
In specie, nella Liturgia il simbolo si distingue in:
1) Naturale e Soprannaturale. Il primo è quello che esprime una cosa che si trova nel medesimo ordine del simbolo stesso, come la corona e la regalità, lo scettro e il potere. Il secondo è quello che rappresenta un’idea di ordine soprannaturale, come l’altare è simbolo di Gesù Cristo.
2) Reale o Convenzionale. Reale quando la relazione è fondata nella natura della cosa stessa, ossia c’è una naturale corrispondenza fra il sensibile e l’intelligibile; è convenzionale quando non esiste una relazione naturale tra il significante e il significato, come la pianeta è simbolo convenzionale di carità o del giogo di N.S.G.C.
La domanda è: esiste una simbologia nella liturgia?
Tutti concedono che essendo il culto cattolico di ordine soprannaturale, anche il simbolismo, se esiste in esso, debba essere soprannaturale; e tutti concedono che nella liturgia si possa trovare il simbolismo convenzionale (io direi, illativo).
La questione allora si riduce a sapere se esiste anche il simbolismo reale.
Il monaco di Cluny Claude De-Vert, fiero giansenista, voleva mettere in luce le ragioni storiche delle cerimonie cattoliche, liberandole dal misticismo di cui fino allora le aveva circondate la tradizione cattolica. La sua opera apparve sul principio del secolo diciottesimo. Tentò pure di rovinare completamente il Breviario (vedasi il manuale di storia del Darras, Vol. II, pag. 442). Il Vescovo di Soisson, Mons. Languet, scriveva al suo clero contro il De-Vert: Io invece dico che l’intenzione della Chiesa riguardo alle cerimonie è stata questa sin da principio di non adottarne neppur una se non per ragioni affatto simboliche.
Se il primo peccava di difetto, il secondo peccava di eccesso.
Il simbolismo esiste realmente nella Sacra Liturgia. Dio stesso lo ha stabilito e ne ha consacrato l’uso nell’AT mentre i sacrifici, le pratiche religiose, le feste, il sacerdozio, il tempio erano pieni di simboli.
La figura scompare al sopraggiungere della realtà in Gesù Cristo, ma il simbolismo rimane e Gesù ne consacra l’uso. La predicazione, i miracoli di gesù sono spesso accompagnati da segni simbolici: nell’ultima cena con la lavanda dei piedi Egli volle significare la mondezza del cuore, e nella istituzione della SS. Eucaristia adoperò il pane che è simbolo dell’unione intima di Gesù con i fedeli, come professa la Chiesa stessa nella secreta della Messa votiva del SS. Sacramento.
Gli Apostoli stessi espongono il senso mistico della materia e delle cerimonie dei sacramenti: 1Cor 5,6; 1Cor 10,17; 1Cor 11,7; Rom 6,4; Col 2,12; Gal 3,27; Gal 5,9; 1Pt 3; etc…

La ragione stessa dimostra come l’attività cultuale debba essere accompagnata e perfezionata dal simbolo: le verità cristiane rivelate, espresse nel divin culto, sono piene di misteri, e quindi lo stesso Divin Redentore, per renderle intelligibili allo spirito umano, facevo spesso uso, nelle sue istruzioni di paragoni e di simboli: quale meraviglia quindi che anche la Chiesa, volendo nella sua liturgia esprimere la propria fede nei misteri e fatti del Cristianesimo, non s’accontenti in molti casi della parola imperfetta e passeggera; ma la dichiari e l’approfondisca mediante azioni simboliche, ovvero la imprima, per così dire, in simboli permanenti? (Valentin Thalhofer, Manuale di Liturgia cattolica, 1894)
Analogamente si può dire dei simboli liturgici quello che San paolo diceva dell’universo visibile: Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità (Rom 1,20).
E la Veritatis Splendor: Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore.
Questo simbolismo, affermano i protestanti, non fa che sovracaricare inutilmente il culto, distrae il ministro e il popolo, conduce ad un morto meccanismo, ad una vuota esteriorità insomma.
Analizziamo.
Le azioni esterne sensibili e simboliche del culto, mentre servono ad imprimere viepiù nell’animo le verità di Fede, sono assai efficaci a destare nei cuori sentimenti di pietà (concetto sconosciuto al mondo protestante). Ciò che distrae nel culto non è il significato simbolico delle azioni e delle cose, che è sempre ordinato al medesimo fine a cui è ordinato il culto, ma sono le novità liturgiche.
Il fedele nel ciclo delle feste , nel ripetersi delle funzioni, vede ripetersi sempre le medesime cerimonie, i medesimi simboli. Questi, mentre danno al culto una bella varietà e gli tolgono monotonia, dirigono passo passo il fedele negli atti del culto stesso. Sono forse distraesti o suadenti le commoventi cerimonie della Settimana Santa?
Neppure il discorso sulla presunta difficoltà di intelligenza del popolo risulta efficace. Ciò che infatti definisce il pregio del simbolo liturgico è proprio la sua facile intelligenza, la pratica efficacia, in proporzione della cultura e della pietà che ciascuno possiede.
Sentiamo ancora il Thalhofer: “Ciascuno a suo modo attinge dalle azioni simboliche un vantaggio religioso, secondo le sue forze e i suoi bisogni […] Spesso le azioni simboliche, nella liturgia cattolica, sono accompagnate dalle relative parole che servono come il commento, ma sono brevi, come, per esempio, il Lumen Christi; ed il loro concetto, come nello spogliar degli altari, è di carattere poetico ed universale, sicchè lasciano all’individuo ancora molto a meditare. Colui che non intende le parole può ancora ricavare grande frutto dalle azioni simboliche perché esse sono già di per sé, nella loro generalità, di facile intelligenza, per cui rendono popolare il culto cattolico, e ciò, tanto più in quanto la Chiesa nella liturgia, per profondissime ragioni, fa uso di una lingua morta”.
Ma ecco anche levarsi il mea culpa da parte protestante: il nostro culto perdette ogni attrattiva; la sua dignità e il carattere soffersero gran danno ed assunsero quello di una stanchevole monotonia: tutto ciò che era drammatico, nel senso più esteso della parola, è scomparso. Non vi fu mai religione sì povera nelle azioni del culto sacro, quanto il protestantesimo. (Samann)
La Chiesa che a Trento esaltò quindi l’influenza delle cerimonie sulla mente e sul cuore e la maestà che imprimono al sacro culto è così paradossalmente giustificata proprio dai suoi stessi detrattori storici.
Time is Judge.

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Platone, un cattolico isaitico

Oggi è giornata, ce l'ho con i preti per ragioni intime, ma così intime da dovermi procurare un neutromed per sgrassarmi di loro.
Avessero letto il Platone, già, Platone...Farebbero più bella figura quando aprono bocca questi teologiuzzi dalla perla facile e dal pirla a comando.
Tra ebraismi, esegesi, esegiasi, esegiosi, mi par di essere una capra che ristagna nel prato quando il suo posto è tra le vette.
Sono ignorante, puzzo persino, accompagno qualcuno quando morde tappeti e si rotola tra le ossa; se Cristo si è fermato a Eboli, la mia cronologia si è fermata all'800 e non mi muovo di qui fino a che ritornino a prendermi per tornare a casa.
Platone dicevamo, Platone...
Nel Secondo Libro della Repubblica (non il giornale di Mauro, achtung!) il filosofo della seconda navigazione di cebetica memoria descrive in Times New Roman il profilo del giusto, e per giunta, senza piantar ulivi a Gerusalemme.
"Un uomo semplice e nobile il quale, come dice Eschilo, non voglia sembrare ma essere buono.
Bisogna dunque togliergli l'apparenza della giustizia, giacchè se apparisse giusto avrebbe onori e doni per tale apparenza e non risulterebbe chiaro se sia giusto per amore della giustizia o degli onori o dei doni, perciò va spogliato di tutto. [...]
Abbia egli massima fama di ingiustizia, flagellato, torturato, legato....[...] dopo aver sofferto ogni martirio, sarà crocifisso."
Oddio. Leggiamo Isaia 53, uno dei passi più belli dell'intera Bibbia:
"Disprezzato e reietto dagli uomini,uomo dei dolori che ben conosce il patire,come uno davanti al quale ci si copre la faccia,era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima...[...] Noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato....[...] Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità."
Beata ignoranza, i cui figli pare che vengano allevati proprio nei Seminari e nelle Università Pontificie.

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Chiesa e autorità

Oggi più che mai è entrato in crisi il concetto stesso di autorità: nella politica, nella società civile e financo nella Chiesa, ove preti e Vescovi giocano al centrifughismo esasperato in nome di una mai esistita democrazia parlamentare, frutto senz'altro del malandato Illuminismo, nonchè del suo slogan "tollerante" (beninteso come relativismo, non come cristianamente possiamo intenderlo noi).
Perchè dunque la Chiesa avocherebbe a sè Potestà e Autorità, quando invece dobrebbe proporsi come annunciatrice di Regno e non già come Regno stesso?
Secondo il cattolicesimo enfant (non l'adulto), Chiesa e Regno di Dio si identificano. Il grande (si fa per dire) teologo protestante Auguste Sabatier, padre di ogni modernismo, nega ogni relazione fra la Chiesa e il Regno di Dio, asserendo che Gesù si sarebbe scandalizzato se avesse potuto prevedere tutto quello che gli uomini, nel nome e nell'autorità sua, presentarono al mondo come sua opera e suo pensiero.
Quanto è scientificamente esatto il suo vaticinio di una Chiesa spirituale: per Sabatier, all'apostolato libero e nomade succede il funzionarismo ecclesiastico sedentario, all'unità morale e nata da comunione dello spirito, succede l'unità esteriore e visibile, fondata sull'unità di governo, di riti e di dogmi. Sembra a me già di vedere scorrere nella mia mente schiere e schiere di Vescovi totalmente allineati con questo abito teologico...
Solo che il Sabatier chiama questa ancora teologia protestante (è proprio vero che sia il protestantesimo che l'ebraismo autentici non esistono più). E comunque, a questa teologia protestante, cosa hanno aggiunto di nuovo il modernismo e l'idealismo? Nulla.
San Tommaso interviene a specificare che Regno deriva da reggere, che è atto di provvidenza; perciò si dice che uno ha un regno in quanto ha uomini sotto il suo governo (providentia); dunque il Regno di Dio si dice in due sensi: unione di quelli che vivono nella Fede, e così la Chiesa militante è Regno di Dio a tutti gli effetti; unione di quelli che sono stabiliti nel fine ultimo, e così la Chiesa trionfante si dice Regno di Dio.
Stando al Vangelo, non si può escludere il concetto sociale e storico del regno di Dio. Ma anche nel Vecchio Testamento, Israele è civitas Dei: quando Gesù entra nella storia non corregge questo concetto, non modifica il contenuto essenziale, ma lo allarga, lo innalza purificato. Il Regno di Dio si estenderà ai Gentili e sarà biasimato il popolo giudaico per aver tradito la sua missione storica, strumento eletto per una divina missione mondiale.
I primi Apostoli così si mossero, non certo furono idealisti: S. Paolo ha perseguitato la Chiesa di Dio, S. Pietro nel concilio di Gerusalemme definisce una questione disciplinare e dottrinale, le lettere di S. Ignazio evidenziano il carattere unitario e sociale della Chiesa, S. Clemente nella rivolta di Corinto interviene con una vera e propria enciclica dei tempi nostri.
Ecco dunque l'attacco dei modernisti: la Chiesa di Dio non può e non deve "socializzarsi" e "storicizzarsi". Il criterio della cernita è nella nostra coscienza cristiana, a loro dire. Qui muore proprio la Teologia, poichè ha ragione Mariano Cordovani a dire che la teologia in questo caso si riduce ad una psicologia religiosa.

Ascoltiamo ancora cosa dice il padre di ogni modernismo, Sabatier:
Ciò che salva è la fede, non la credenza; la fede atto del cuore e della volontà, atto essenzialmente morale, per il quale l'uomo accetta il dono e il perdono di Dio; la credenza è atto puramente intellettuale per cui lo spirito dà la sua adesione ad un atto storico e ad una dottrina.
Insomma, a poco a poco, da una pura democrazia si passò alla monarchia assoluta: come il popolo cristiano abdicò nelle mani della gerarchia, così anche l'episcopato ha abdicato nelle mani del Papa. Non solo il Papa è custode della Tradizione, ma il suo creatore, con la sua parola ispirata e la sua decisione infallibile.
Qui davvero c'è il peggio del peggio, tra modernismo e veterocattolicesimo, l'impudicizia dei pensieri sghembi la fa da padrone.
Si cerca di presentare e colorire una fantomatica religione dello spirito, della quale la libertà sarebbe la forma, il vangelo il contenuto.
Ancora Sabatier: il metodo di autorità isola la teologia cattolica dal movimento scientifico generale e la mette nella condizione di non poter definire il suo oggetto particolare e di prendere come oggetto cose che non possono essere conosciute.
Qui si tratta di falsificare la storia e di negare anche l'evidenza, quando si asserisce che nel Vangelo non ci sono questioni dottrinali, che Gesù non ha istituito nessuna autorità docente, quando si considera l'autorità in opposizione alla religione dello spirito.
Il cattolicesimo non sarebbe religione dello spirito? Risposta: studiate bene la storia!
Ecco i germi della anarchia del pensiero che oggi ha il suo imperio proprio nelle maggiori e minori Curie...
A voi il resto delle considerazioni sulla necessità ed efficacia anche salvifica, non meramente disciplinare, della autorità e del governo.

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venerdì 28 marzo 2008

Sul celibato

Quella che qui offro non ritiene di presentarsi come una trattazione globale sul celibato ecclesiastico. Soltanto gli aspetti che al nostro blog ritengo utili saranno divulgati e meditati.
Comincio col dire che il celibato sacerdotale (da caelebs, celibe, non coniugato) è lo stato di celibe regolato dal diritto canonico al quale sono obbligati gli ordinati in sacris, quei chierici cioè che hanno ricevuto quelli che una volta, prima della lettera apostolica di riforma Ministeria Quaedam di Paolo VI, erano chiamati gli "Ordini Maggiori" (maioristi).
Il celibato è un istituto di diritto canonico (ius ecclesisticum) e non è divini iuris. In quanto regolato da ius ecclesisticum positivo, questo istituto sarebbe, in teoria, suscettibile di modificazioni. Contro queste ultime depongono certamente la infallibile Tradizione della Chiesa e il fatto che, malgrado le tante difficoltà che comporta, il celibato è stato in pratica realizzato.
Specifico che nel rito orientale, tanto chiamato in causa nei dibattiti su questo tema, se è vero che il celibato non è obbligatorio per i preti secolari (per dirla tutta, se già prete, un uomo non può sposarsi, ma se già spostato, può ordinarsi), è vero che per i monaci e per i vescovi è invece richiesto. E comunque, il matrimonio dei preti ha condotto a difficoltà maggiori di quelle cui ha condotto il celibato nel rito latino.
I presunti danni prodotti alla salute dall'astinenza sessuale non sono per nulla dimostrati. Se l'astinenza può in generale provocare qualche inconveniente alla salute, si tratta al più di modesti disturbi nervosi. E comunque, questi si verificano soltanto in persone psicopatiche, non adatte a sopportare l'onus sacerdotale, e che sarebbe quindi meglio scartare anche prima di conferire loro gli ordini (si veda, per completezza, il documento della Congregazione per l'Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale, dato a Roma il 4 Novembre 2005; si legga anche Optatam Totius, 10).
Non raramente, e duole riconoscere che un certo orientamentoi è penetrato fin nelle file del clero, si dice che il celibato non è adatto ai tempi attuali. Non è un caso che le obiezioni contro il celibato si servono delle formulazioni concettuali della filosofia dell'esistenzialismo e della psicologia di Jung.
Non sono nemmeno da trascurare, in una eventuale possibilità di abbandono del celibato, le estenuanti preoccupazioni che opprimerebbero il parroco coniugato e lo costringerebbero a dedicare il suo tempo, per amore di un guadagno suppletivo, a lavori estranei al suo ministero (polemicamente, biasimo la larga pratica che, pur legittimamente, vede i sacerdoti dedicarsi all'insegnamento sussidiario).

La concezione cattolica del matrimonio è la sorgente di una vera eugenetica. Se essa ridiviene patrimonio comune, i matrimoni torneranno a essere spontaneamente prolifici e fecondi. Il numero dei sacerdoti che a causa del celibato non contribuiscono all'incremento della popolazione non può rappresentare una deficienza sensibile in un organismo nazionale sano e biologicamente funzionante, anzi costituirà un inestimabile valore aggiunto quanto alla paternità spirituale a difesa della purità del matrimonio quale fondamento della società.
Da un punto di vista squisitamente disciplinare vi sono assai più motivi a favore che contro il celibato; come accennato poco sopra, primo fra tutti la circostanza che solo un sacerdote non legato dalle preoccupazioni familiari è in grado di intervenire in qualsiasi momento, con la libertà e l'indipendenza necessarie, in favore della purità della dottrina e dei costumi, opportune et importune, anche contro la veemenza degli stati totalitari (e ricordo il martirio di migliaia di sacerdoti, solo per fare un esempio, nella Rivoluzione Francese o nella Spagna degli anni '30). Il sacerdote non può essere diviso, la sua missione esige dedizione totale, un vacare Deo assoluto.
I compiti della paternità spirituale sono assai difficilmente compatibili con i gravi doveri della paternità fisica. Non però che stia qui affermando una assoluta incompatibilità, ma certo una notevole difficoltà.
Il matrimonio dei preti non è affatto quella panacea semplice e infallibile che si vuol far credere. Se si ritiene che la natura umana sia troppo debole per soddisfare all'eroica esigenza del celibato, non ci si deve nascondere che anche il matrimonio cristiano pone pone alla natura umana delle esigenze spesso più gravi. Nessuno stato, insomma, può far fronte ai propri doveri senza la Grazia.
Un buon celibato è un edificante esempio del potere dello spirito sull'istinto, quindi è un baluardo protettivo anche per il matrimonio sacramentale. Il celibato, obbligatorio per tutta la Chiesa latina dopo la riforma di Cluny (1100 ca.), ha dato buona prova.
Non si può affatto esaurire l'essenza della verginità e del celibato dal solo punto di vista morale. Si tratta, in definitiva, di un atto liturgico, di un sacrificio offerto a Dio per la salvezza delle anime. In questa concezione non vi è assolutamente alcuna sottovalutazione della sessualità, anzi vi è piuttosto un alto apprezzamento di essa, in quanto valore di vita, in quanto bonum excellens (S. Tommaso).

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giovedì 20 marzo 2008

Battesimo intrauterino

Quando, mesi fa, si dibatteva della esistenza del Limbo, inopportunamente liquidato da certa malastampa come "abolito", non si faceva notare che la Chiesa prevedeva, a norma del Codex del 1917, che il sacramento della grazia santificante fosse amministrato anche in condizioni di estrema necessità e pericolo di morte intrauterina del feto. Non si spiegherebbe, altrimenti, il ricorso a tale pratica se non ci fosse il ragionevole dubbio che il bambino possa godere della visione beatifica. Ma torniamo a noi.
Partendo dalla necessità del battesimo per la salvazione e dalla considerazione che la vita spiritualis costituisce un bene superiore alla vita temporalis, alcuni hanno raccomandato il battesimo del bambino nell'utero.
Per il medico cristiano è un dovere morale preoccuparsi del battesimo d'urgenza in qualsiasi caso d'immediato pericolo di morte del neonato, come pure del feto non ancora nato.

Questo dovere sussiste pure per i feti abortivi, anche a partire dai primissimi stadi, certamente sub condicione: "si vivis..."
In specie, per l'esecuzione del battesimo vi è da osservare che l'acqua battesimale deve bagnare il corpo del bambino in qualsiasi punto. Non è sufficiente che essa bagni la membrana vitellina o la placenta. E' il can. 746 del C.I.C. del 1917 a stabilirne le condizioni che così sintetizzo:

  1. Non si può praticare il battesimo intrauterino finchè vi sia fondata speranza che si possa praticare il normale battesimo dopo la nascita.
  2. Un bambino battezzato in utero, se sopravvive, deve essere di nuovo battezzato sotto condizione dopo la nascita.
Per l'esecuzione materiale del battesimo erano raccomandati i seguenti metodi:

  1. Rottura delle membrane e semplice ablutio o aspersio della parte del corpo raggiungibile.
  2. Aspersione mediante una siringa da iniezione: a) per via vaginale, attraverso le membrane dell'uovo; b) attraverso la parete addominale, l'utero e le membrane dell'uovo.
  3. Aspersione mediante syphunculus.
Possono venire presi in considerazione soltanto i metodi di cui al n.1 e 2 a).

Qualsiasi metodo scelto, il medico deve porre grande attenzione alle esigenze relative alla forma e alla materia del Sacramento (in specie, ricordo che è lecito aggiungere all'acqua delle sostanze disinfettanti) e deve adeguarsi rigorosamente alle esigenze mediche della asepsi (procedura che impedisce la contaminazione da parte di microrganismi), per non esporre a pericoli la madre.

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giovedì 28 febbraio 2008

Giuliano ha già vinto. Ora si ritiri.

La sua candidatura ha messo sotto i riflettori il tema dell’aborto: splendido risultato. Adesso, meglio fare un passo indietro per chiedere ai candidati di sostenere la moratoria...

di Antonio Socci

Caro Giuliano, dopo averti dato il mio appoggio, dalle colonne del Corriere della Sera, voglio darti ora un consiglio, anch'esso non richiesto: annuncia di non presentare più la tua lista perché hai già vinto la battaglia. Puoi cestinare questo invito all'istante. Ma ti prego almeno di ascoltare e rifletterci. Sai che ho applaudito con entusiasmo la tua (la nostra) bella battaglia culturale e morale contro il flagello del XX secolo, perché non è più possibile che la nostra generazione spazzi via un miliardo di vittime innocenti (50 milioni all'anno) facendo finta di nulla, volgendo la faccia dall'altra parte come se si trattasse di bazzecole (se non temiamo il giudizio di Dio, dovremmo almeno temere quello dei posteri, dei nostri pronipoti, che potranno avere vergogna o orrore di noi). Intelligente e generosissima è stata anche la tua idea della lista "pro life" per evitare che la campagna elettorale facesse sparire il dibattito sulla moratoria per la vita. Di fatto sei riuscito in un'operazione temeraria e splendida: imporre finalmente al centro del vaniloquio politico e mediatico un dramma vero, che gronda lacrime e sangue.
SUCCESSO PERSONALE
Il risultato l'hai raggiunto. Splendidamente. La tua vittoria, anche personale, l'hai conseguita. Infatti oggi tutti - da Destra a Sinistra - ripetono di volere "la piena attuazione della legge 194" (anche nelle parti dov'è prevista la tutela della maternità e l'aiuto alle donne in difficoltà). Che poi è esattamente quello che vuoi tu. In effetti - qualora tu presentassi la lista - sarebbe assurdo che tu non chiedessi di cancellare o cambiare la 194: in Parlamento si va per questo, per modificare o fare le leggi. Siccome tu non dici e non vuoi questo, chiedere una rappresentanza parlamentare per volere ciò che vogliono tutti (la piena applicazione della 194) non avrebbe senso. Ci può essere un altro obiettivo prezioso: fare il ministro della Salute. Non so se tu davvero lo voglia, non so quanto sia una provocazione, ma di certo è un obiettivo raggiungibile e sarebbe molto utile per dare davvero piena attuazione alla legge. Però tu sai bene che - a questo punto - è più facile ottenere questo incarico (dai tuoi amici di centrodestra) ritirando la lista. Presentarla probabilmente sarebbe controproducente, farebbe saltare la cosa. Tu potresti fare questo discorso chiaro: «Signori, ho le firme per presentare le mie liste e i miei candidati. Quindi non cambio idea facendo come la volpe all'uva. Potevo benissimo presentare tutte le liste. Se ora invece non lo faccio più, è perché sono già riuscito nel mio obiettivo di farvi aprire gli occhi su questa tragedia e di farvi prendere un impegno politico a tutela della maternità, della civiltà e del nostro futuro. Inoltre presentare adesso la lista sarebbe controproducente: non solo per l'eventuale incarico di ministro della Salute, con il quale voglio personalmente lavorare per questa riscossa della vita, ma anche perché il risultato della lista (nel migliore dei casi l'1 per cento, ma diciamo pure il 4 per cento) potrebbe essere strumentalizzato da chi, all'indomani del voto, indicherà in quella piccola cifra il totale di coloro che sono contrari all'aborto. Così non è, ovviamente. Il popolo della vita è molto più vasto del risultato elettorale di una lista monotematica. Per evitare equivoci a questo punto non la presenterò. Come dicevamo nel 2005, in occasione del referendum sulla legge 40, «sulla vita non si vota». Io voglio evitare - ora che ho vinto la battaglia - di regalare alla cultura abortista un argomento formidabile. Sarebbe del tutto controproducente. Rischierei di fare un grave danno alla causa della vita che invece voglio sostenere. Anzi, visto il consenso trasversale che la nostra battaglia ha guadagnato, trasformeremo la nostra iniziativa in una lobby di candiddati e parlamentari, di tutti gli schieramenti, disposti a sottoscrivere la nostra moratoria e a battersi per essa in parlamento.

UN IMPEGNO DI VALORE
Potresti anche chiedere, caro Giuliano, che questi candidati, una volta eletti, si impegnassero con un tot mensile a sostegno dei centri di aiuto alla vita a cui devolvere anche una sottoscrizione di chi avrebbe voluto sostenere la lista. Ricordo che sono i "centri di aiuti alla vita" del Movimento per la vita e della Caritas che in questi ultimi 30 anni hanno aiutato circa 80 mila donne in difficoltà permettendo a 80 mila bambini di nascere e vivere. Devolvere anche una piccola parte dei soldi che sarebbero stati spesi per la campagna elettorale a questi benemeriti centri, fatti da volontari e poveri di mezzi, certamente salverebbe più vite di quante ne salva una lista elettorale. D'altra parte la Chiesa stessa - che non ha mai rinunciato a dire la verità sull'aborto e a raggiungere l'obiettivo "zero aborti" - sa che la strada per arrivarci è innanzitutto questa dell'aiuto alla vita e alle donne. Non è la politica che risolverà questo dramma, ma un lungo sommovimento delle coscienze. Come quello che - dopo la venuta di Gesù, Figlio di Dio - portò, con il tempo, alla sparizione della schiavitù dalla terra. È un realismo faticoso, ma umile e autentico. Significa - per dirla alla maniera del tuo amico Sofri - capire che c'è un nodo da sciogliere con pazienza e non un chiodo da piantare con un colpo spettacolare. È ciò che, in politica, oppone il riformismo al massimalismo. È la pazienza del lavoro quotidiano. Perché la performance spettacolare non risolve il problema e talora rischia di aggravarlo. La "bella morte" è un mito della cultura nichilista, come la provocazione dannunziana. Per tanti di noi, anni fa, fu illuminante il discorso che l'allora cardinale Ratzinger tenne ad alcuni politici cattolici del suo Paese. Era un elogio del compromesso, contro integralismi e fanatismi. «Il primo servizio che la fede fa alla politica» disse Ratzinger «è dunque la liberazione dell'uomo dall'irrazionalità dei miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo. Essere sobri ed attuare ciò che è possibile e non reclamare con il cuore in fiamme l'impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica» concludeva Ratzinger «consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell'umanità dell'uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell'avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell'uomo e compie, entro queste misure, l'opera dell'uomo. Non l'assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell'attività politica». La tua intelligenza e la tua generosità, caro Giuliano, hanno già conseguito una vittoria straordinaria. Tanti di noi ti sono e ti saranno grati, fra i laici come fra i credenti, se vorrai continuare insieme a noi questa bella avventura (hai potuto constatare quanto il popolo cattolico ti circondi di affetto e stima). Adesso prendi la decisione giusta e avrai fatto un autentico capolavoro.

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lunedì 25 febbraio 2008

La Messa tridentina

di don Ivo Cisar

1. Due riti distinti
È sentita la necessità di spiegare la messa c.d. tridentina, dove questa viene celebrata, nelle sue principali differenze dalla messa "nuova", postconciliare, perché non tutti ne percepiscono chiaramente le ragioni. Lo faremo in alcune brevissime puntate distribuite lungo l'arco dell'anno liturgico.
Prima di tutto ricordiamo che la santa messa tradizionale, di rito romano antico, in uso nella Chiesa da secoli, viene celebrata per concessione dei vescovi in base all'indulto pontificio del 3 ottobre 1984 (EV 9,1034-1035), confermato con la lettera motu proprio del Papa Ecclesia Dei del 2 luglio 1988 (EV 11,1197-1205) [in realtà, non è più così dalla recente promulgazione del 7 Luglio 2007 del Motu Proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI che liberalizza il Messale del '62, ndr].
Si tratta di due riti distinti, come esistono nella Chiesa cattolica vari riti (SC 3: EV 1,3-4; can. 2 CIC) nei quali rimane identica la sostanza della santa messa, mentre essi differiscono in vari e molteplici particolari che ne mettono più o meno in luce vari aspetti; è proibita la commistione tra i due riti (EV 9,1035d).
Pertanto non viene messa in dubbio la validità della c.d. "nuova" messa - introdotta sotto il pontificato di Paolo VI nel 1969 con la Costituzione apostolica Missale Romanum (20 ottobre 1969: EV 3,1619-1640), con la decorrenza dal 30 novembre 1969 (ivi, 1621) - a condizione che il sacerdote celebrante abbia l'intenzione (attuale o virtuale) di consacrare.
Non può venir messa in dubbio, quindi, né la legittimità (a certe condizioni) della messa tridentina, né la validità (a certe condizioni) della "nuova messa".


2. La santa messa
La santa messa si può definire come atto supremo del culto di Dio Uno e Trino, mediante il sacrificio redentore di Gesù Cristo compiuto sulla croce, che si rinnova ossia rende presente sull'altare attraverso la ripetizione dell'Ultima Cena, sacramento del sacrificio di Cristo (la santa messa è un sacrificio sacramentale, applicativo).
La sua struttura fondamentale è data dalla c.d. liturgia della parola e dalla liturgia eucaristica che, a sua volta, consta di due parti: il sacrificio e la santa comunione. Essenziale è il sacrificio, nel quale mediante la consacrazione separata del pane e del vino si rinnova l'offerta al Padre del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo: uno e identico ne è il sacerdote principale, una e identica la vittima, Gesù Cristo, soltanto il modo di fare l'offerta è differente, cruento sulla croce, incruento sull'altare (Pio XII, Enciclica Mediator Dei, II 1: EE 6,493-494). Esso si rinnova perché la Chiesa si unisca al sacrificio del suo Capo e s'inserisca in esso, partecipandovi, al fine di trarne i frutti salvifici. A tal fine è necessaria una partecipazione spirituale dei fedeli (cfr. ivi, 506-528), non è necessaria, invece, la santa comunione che è una parte integrante del sacrificio ed è obbligatoria soltanto per il sacerdote celebrante. Non è necessaria la presenza dei fedeli alla celebrazione, perché la santa messa è sempre un atto pubblico, a favore di tutta la Chiesa.

3. Le principali differenze
Da quanto detto sulla struttura fondamentale della santa messa, sacrificio sacramentale di quello della croce, risultano le principali differenze tra la messa tridentina e quella "nuova", assieme alle finalità della santa messa, ossia tra quello che la messa è e quello che la messa non è:
difatti, il fine della liturgia non è quello di costituire un'assemblea, di fare uno spettacolo, di fare una "festa", di celebrare una semplice cena.
Ora, nella nuova messa si riscontrano alcune accentuazioni che potrebbero far travisare le finalità essenziali della santa messa:
1) nella "nuova messa" è accentuato l'aspetto di azione della Chiesa (intesa come?): il sacerdote celebrante in parecchi momenti si confonde in un certo qual modo con i fedeli (come risulterà meglio ancora); ma la santa messa non un'assemblea;
2) nella "nuova messa" è accentuata la liturgia della parola, comprese le varie "didascalie", quindi l'aspetto didattico (anche se l'omelia è spesso impoverita); ma la messa non uno spettacolo, e tanto meno TV (?).
3) nella "nuova messa" è ridotto l'aspetto sacrificale (un offertorio quasi inesistente, le preci eucaristiche più brevi e scarne); ma la messa non è (solo) una "festa" (l'accento posto sulla gioia della risurrezione);
4) nella "nuova messa" è accentuato l'aspetto conviviale (già nell'Offertorio): ma la messa non è una cena (soltanto), come per i protestanti.


4. Il sacrificio eucaristico
Il sacrificio che è la parte centrale e del tutto essenziale della santa messa, sacrificio sacramentale, perché riferito a quello della croce, è atto supremo di culto divino, al fine di lodare e ringraziare Dio, dal quale riceviamo tutto (Es 22,29; 33,5.21; Lv 23,10; Pr 3,9).
Il sacrificio, dopo il peccato, ha anche una finalità propiziatoria, di riconciliazione con Dio (cfr. 2Cor 5,19), mediante l'atto supremo di obbedienza di Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm 2,5), obbedienza fino alla morte di croce (Fil 2,8), per soddisfare (più che per "espiare", ma vedi anche 1Gv 2,2) per i nostri peccati, in quanto il peccato è disobbedienza (cfr. Rm 5,19).
Conseguentemente, il sacrificio eucaristico è anche un sacrificio di impetrazione di tutte le grazie necessarie per la nostra salvezza (cfr. Rm 8,32), di impetrazione per i vivi e i defunti, per la Chiesa e per tutto il mondo, in particolare per chi viene celebrata la messa, per chi la celebra, per chi vi partecipa ("assiste").
Ne risulta l'assoluta necessità della santa messa per la salvezza eterna, in quanto in essa si rinnova e rende presente il sacrificio redentore di Gesù Cristo. La sua obbligatorietà scaturisce dalla virtù della religione (giustizia verso Dio) e dal suo valore salvifico del tutto fondamentale.


5. Un solo sacerdote
Il sacrificio della croce, e quindi quello sacramentale, per anticipazione, dell'Ultima Cena, e quello sacramentale "per commemorazione" (nel senso forte della parola) dell'eucaristia ("rendimento di grazie"), è compiuto dall'unico ed eterno Sommo Sacerdote, Gesù Cristo (Eb 7,24; 9,26).
Nella messa tridentina, celebrata da un solo sacerdote, risalta chiaramente questo aspetto cristologico della santa messa. Il sacerdote è mediatore tra Dio e gli uomini, ministro di Cristo: è lui che offre i doni (vittima), che consacra, che compie il sacrificio; solo grazie alla sua azione il sacerdozio, essenzialmente distinto (LG 10b: EV 1,312), viene attuato ed esercitato ed è reso efficace.
Pertanto, il Canone (romano) è la preghiera esclusivamente sacerdotale e viene recitato, per la maggior parte, a bassa voce, eccetto il canto (o recita ad alta voce) del Prefazio e del Pater noster.
La concelebrazione, limitata dal Concilio Vaticano II ad alcuni casi e che non può venire mai imposta ai singoli sacerdoti (SC 57: EV 1, 97-106; can. 902 CIC), non aiuta a percepire l'unicità del sacerdote il quale non è mai soltanto un "presidente" (dell'assemblea). Essa fa risaltare l'unicità del sacerdozio intorno al Vescovo, specialmente il Giovedì santo, ma non deve diventare una comoda abitudine che peraltro priva i fedeli del beneficio della santa messa distribuita in più luoghi e orari.


6. L'altare
Il sacerdote non si pone "contro" i fedeli, chiudendosi in un cerchio (cfr. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia³, Cinisello Balsamo, 2001, p. 76), ma sta a capo del "popolo di Dio", quale condottiero, e con esso si rivolge a Dio, verso l'oriente, verso l'altare, il quale non deve essere mai una tavola (per una specie di Cena di tipo protestante) e che non è prescritta, resa obbligatoria, anzi, la duplicità di "altari" dovuti a quelli posticci deve col tempo scomparire (cfr. doc. sulla riforma liturgica del 25 gennaio 1966: EV 2,610).
Sull'altare deve essere collocato un crocifisso, perché vi si rinnova il sacrificio della croce; vi si trova, in mezzo, il tabernacolo, sede di Cristo, presente realmente sotto le specie eucaristiche e la cui presenza, prodotta dalla transustanziazione avvenuta nella consacrazione, è durevole; vi sono i candelieri con le candele per significare la presenza di Cristo, "luce del mondo" (Gv 8,12; Lc 2,32; 1,78); nella sua pietra si conservano le reliquie dei santi, nostri intercessori presso Dio (Canone romano), con i quali siamo uniti nella grande comunione dei santi e della liturgia celeste (cfr. Ap 6,9).
L'altare, con il ministero del sacerdote (cfr. 1Cor 4,1), rende la Chiesa aperta verso il mistero redentivo di Cristo e verso la patria celeste (Fil 3,20), verso la quale il popolo di Dio è incamminato.


7. Il latino e la partecipazione
Il latino è la caratteristica della messa tridentina, che più risalta. Anche la "nuova messa" si può celebrare in latino, ma resta un rito distinto. La lingua latina che il Concilio Vaticano II ha deciso di conservare (SC 36; can. 928 CIC) è una lingua sacra, precisa garanzia dell'ortodossia e della universalità o cattolicità della Chiesa, dell'immutabilità del dogma (cfr. Eb 13,8-9), compromessa dalle molteplici e non sempre felici traduzioni, peraltro bisognose di continui aggiornamenti.
Già si è detto che il canone è una preghiera esclusivamente sacerdotale che viene recitata dal sacerdote per la maggior parte a bassa voce. Per partecipare "attivamente", cioè spiritualmente, alla santa messa, la cui prima parte, la c.d. liturgia della parola (letture, omelia) è pienamente "comprensibile" perché svolta in lingua volgare, non è necessario capire materialmente ogni singola parola. Della liturgia bisogna afferrare lo spirito, la sostanza che è quella di un mistero ossia evento salvifico della redenzione dai peccati, operata da Cristo, di cui dobbiamo appropriarci, e quindi della salvezza finale.
Si può ricorrere a un paragone tratto dall'opera: anche in essa non sempre vengono percepite e capite le singole parole, ma se ne capisce l'essenza, la sostanza dell'azione o l'azione complessiva, e se ne percepisce la bellezza. La parole a volte possono disturbare; è necessario anche e soprattutto il silenzio (esteriore). E come il sacerdote si serve del messale, così possono fare i fedeli (con l'ausilio dei messalini o dei foglietti, come per il libretto dell'opera).


8. Il sacerdote e i fedeli
Mentre nella "nuova messa" le parti del sacerdote celebrante e del popolo dei fedeli spesso si confondono, nella messa tradizionale esse rimangono distinte, in ossequio al principio che la messa è l'atto di Cristo che lo compie mediante il ministero del sacerdote.
Rimangono distinti il Confiteor ai piedi dell'altare, l'Agnus Dei, il Domine non sum dignus; la distinzione tra il sacerdote-mediatore e i fedeli ricorre anche nel Canone, almeno tre volte: l'adorazione del santissimo Sacramento dopo la consacrazione è doppia, distinta; è separato il canto o la recita del Pater noster, pronunciato dal solo sacerdote, anche se a nome di tutta la Chiesa; ritorna spesso la distinzione nella seconda persona plurale quando il sacerdote si rivolge ai fedeli, come nei frequenti Dominus vobiscum - segno ed espressione dell'unione di Cristo con i fedeli e insieme l'esortazione al raccoglimento alla presenza di Cristo; non si dà luogo ad abusi e travisamenti come quando oggi alcuni sacerdoti si esprimono nella prima persona plurale, non consentito neppure dalla nuova liturgia, come: "questo nostro sacrificio", "lavaci, purificaci"; "ci custodisca"; "ci benedica"; un abuso analogo a quello di trasporre all'indicativo quel che è all'imperativo, meglio sarebbe dire "implorativo": "Dio ha misericordia di noi, ci perdona i nostri peccati ecc.", invece di "Dio abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati ecc." - è una preghiera di intercessione richiesta alla fine del Confiteor.


9. Profonda umiltà
Tutta la messa tradizionale è pervasa da un afflato di profonda umiltà, insegnataci da Gesù nella parabola del superbo fariseo e dell'umile pubblicano (Lc 18,9-14): così nelle preghiere ai piedi dell'altare, prima di salire verso di esso; così in tutte le orazioni in cui non vengono evitate espressioni eliminate dalla nuova liturgia perché suonerebbero offensive al delicato orecchio dell'odierno cristiano che si ritiene maturo, adulto, come: peccato, riparazione, inferno, le insidie del male, avversità, nemici, tribolazioni, afflizioni, infermità dell'anima, durezza del cuore, concupiscenza, indegnità, tentazione, cattivi pensieri, gravi offese, perdita del cielo, morte eterna, punizione eterna, frutti proibiti, colpa, eterno riposo, vera fede, meriti, intercessione, comunione dei santi ecc., al posto delle quali oggi si vuole sentire solo gioia, festa ed espressioni anche di tipo sociale o terrestre o vago, come senso cristiano della vita, guarigione dagli egoismi, conforto della protezione divina, coerenza di vita, spirito rinnovato, tua amicizia (con Dio), servizio dei fratelli, fraternità e pace, mondo più umano e giusto, impegno al servizio del prossimo, desiderio di intesa e di collaborazione, messaggio di bontà e di gioia, impegno civile, progresso nella libertà e nella pace, e così via (cfr. Bianchi, Liturgia: memoria o istruzioni per l'uso? Studi sulla trasformazione della lingua dei testi liturgici nell'attuazione della riforma, Casale Monferrato, 2002). Le orazioni tradizionali latine sono, inoltre, molto concise e profonde nella loro semplicità, quindi pregnanti, e invitano alla riflessione.


10. Ricchezza e bellezza
La messa tridentina non solo non pecca di eccessiva brevità, ma è anche ricca nei suoi vari elementi. La nuova messa risulta accorciata di circa un terzo ed sproporzionata tra una liturgia della parola a volte eccessivamente lunga, pur essendo le omelie oggi assai ridotte, e la liturgia eucaristica, specialmente quando viene usata, come accade di preferenza, la Prece eucaristica seconda. Ma la nuova messa è anche povera rispetto a quella tradizionale dove abbondano le orazioni che possono essere anche doppie o triple, le bellissime sequenze, ispirate dalla sacra scrittura, come Dies irae, Stabat mater, Veni Sancte Spiritus, Lauda Sion Salvatorem, Victimae paschali laudes, ecc. È ricca di feste di santi, di colori, di paramenti, nelle chiese architettonicamente e artisticamente belle che favoriscono il raccoglimento e l'orazione quale elevazione della mente a Dio, nella partecipazione alla perenne liturgia celeste, con frequenti invocazioni degli angeli e dei santi, anche nello stesso canone romano. Nella messa tridentina si sente la traccia della bellezza di Dio e del suo regno celeste. Anche grazie al suono dell'organo e al canto gregoriano, entrambi raccomandati dal Concilio Vaticano II (SC 116,120). Dio è Verità, Bontà e Bellezza e la liturgia deve riflettere tali sue proprietà che illuminano la nostra esistenza. Il Santo Padre, nella carechesi del 26 febbraio 2003, ha insistito sulla necessità della bellezza nella liturgia e nei canti e nella musica sacra, invitando la Chiesa a farne oggetto di un esame di coscienza.


11. Le letture
Il Concilio Vaticano II aveva raccomandato una maggiore ricchezza biblica nella messa, letture più abbondanti, in modo che in un determinato numero di anni si legga al popolo la parte migliore della sacra scrittura (SC 51). Sono nati così dei cicli triennali di letture bibliche che comprendono anche quelle tratte dall'Antico Testamento; nelle domeniche e nelle feste si hanno tre letture, delle quali la prima è presa dal Vecchio Testamento.
A questo proposito bisogna dire che le scelte dei brani scritturistici non sono sempre felici né con tagli appropriati e che specialmente le letture dell'Antico Testamento non sono sempre ben comprensibili. Inoltre, per parola di Dio non è intendersi soltanto la sacra scrittura o la Bibbia, bensì anche e in primo luogo la predicazione della Chiesa (cfr. 1Ts 2,13), nella quale l'omelia non consiste soltanto nel commentare la Bibbia come per i protestanti. Quel che deve essere esauriente è questa predicazione che deve esporre gli argomenti principali del Credo, dei sacramenti, della morale cristiana e della preghiera cristiana, come si ha nei catechismi (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica), mentre un limitarsi ai temi immediatamente proposti (quando vengono colti) dalle letture bibliche risulta a volte dispersivo e incompleto, con il danno di una minore fissazione nella memoria dei punti principali o capitali della dottrina cattolica (cfr. R. Amerio, Iota unum, Milamo-Napoli, Ricciardi, 1985, p. 541). A voler dare un panorama completo (non lo sarà mai) della sacra scrittura ci si imbatte anche in brani poveri di contenuto o ripetitivi, mentre nella messa tridentina le letture bibliche, specialmente in certi tempi, come quello della Quaresima, sono più ampie.


12. L'Offertorio sacrificale
La parte più ridotta della "nuova messa" rispetto a quella precedente è l'Offertorio, nel quale iniziava il sacrificio con la presentazione a Dio dei doni sacrificali da parte della Chiesa; questi doni passavano nella sfera divina e il sacrificio veniva compiuto mediante la transustanziazione, ossia mediante il cambiamento del pane e del vino in Corpo e Sangue di Gesù Cristo; in tale maniera il sacrificio da parte della Chiesa viene a identificarsi con quello del nostro Signore, diventa tutt'uno con questo e acquista la sua efficacia. Oggi, invece, nella "nuova messa" l'Offertorio è stato sostituito con una specie di benedizione della tavola, di tipo ebraico, quasi fosse soltanto un preludio alla Cena, sulla quale oggi si pone un accento esagerato quasi nella messa fosse obbligatoria per tutti e sempre la santa comunione eucaristica. Questa è, però, soltanto un elemento integrante, obbligatorio per il solo sacerdote, mentre ai fedeli è vivamente raccomandata, ma sempre a certe condizioni, tra le quali al primo posto quella dello stato di grazia. Oggi, invece, si hanno comunioni di massa, in piedi, anche sulla mano, di molte persone che non si trovano in stato di grazia, ma commettono un sacrilegio. La messa non è soltanto o principalmente una Cena, di tipo protestante.


13. La conclusione
A conclusione della messa tridentina si ha la lettura del c.d. "ultimo Vangelo", di solito tratto dal prologo del vangelo secondo san Giovanni, che serve a elevare potentemente l'animo verso il mistero di Dio Uno e Trino e del Verbo Incarnato, offerto, sacrificatosi per noi e donatosi a noi nella santa messa, di modo che esso serve di primo ringraziamento. Nelle messe c.d. lette seguono anche le preghiere, di nuovo ai piedi dell'altare, in ginocchio, per la libertà e l'esaltazione della santa Madre Chiesa e contro il demonio che insidia le anime e la loro salvezza eterna, prescritte dal grande pontefice Leone XIII. La loro necessità risulta sempre più chiara dallo svolgersi della storia contemporanea.
Nelle sagrestie si trovavano nel passato delle tabelle con una serie di preghiere, fatte di salmi e di altre composte dai santi, che servivano di preparazione e di ringraziamento al sacerdote celebrante, comprese le intenzioni di consacrare e di applicare il sacrificio eucaristico; la preparazione e il ringraziamento sono prescritti tuttora ai sacerdoti (can. 909 CIC) e servono di esempio anche ai fedeli; i ritardi nell'arrivare alla santa messa e la dissipazione subito alla fine compromettono i suoi frutti spirituali.


14. Riti e simboli
Nelle messe solenni il sacerdote celebrante viene assistito dal diacono e dal “suddiacono” (ordine maggiore non più esistente, ma ne rimangono le funzioni nella santa messa solenne); questi, tra l'altro, cantano il Vangelo e l'Epistola. Si usa anche l'incenso, per incensare i doni sacrificali, l'altare e le persone. L'incenso simboleggia il sacrificio perfetto, quello dell'olocausto, in cui veniva bruciata la vittima (offerta a Dio) e ne saliva verso Dio il fumo; vengono incensate anche le persone (del celebrante, degli assistenti, dei fedeli), in quanto si offrono a Dio come vittime spirituali in odorem suavitatis (Gn 8,21; Ef 5,2); anche le orazioni dei santi vengono considerate come profumi che salgono verso Dio (Ap 5,8), come pure le virtù dei cristiani (2Cor 2,15; cfr. Gv 2,3).
Una caratteristica tipica della messa tridentina è il massimo rispetto verso il SS.mo sacrificio e il SS.mo Sacramento dell'altare; ciò si manifesta nelle frequenti genuflessioni e nella massima cura dei frammenti eucaristici secondo il precetto del Signore: “Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto” (Gv 6,12), poiché anche nel minimo frammento eucaristico è presente il Corpo Ss.mo del divin Redentore.
Il bacio dell'altare che rappresenta Cristo è il bacio riverente in segno di adorazione (cfr. Mt 28,9; Gv 20,17) e di comunione con Gesù.
Il tabernacolo occupa il posto centrale ed elevato, quale si addice al trono di Dio.


15. Un recupero pastorale
Se ci domandiamo, a questo punto, perché la gente si è allontanata dalla santa messa, possiamo ritenere che il motivo ne è la sua banalizzazione come risulta da quanto esposto fin qui. Manca anche il senso di Dio (la fede), il senso del peccato (il pentimento), il senso della redenzione (la ricerca della grazia); per colpa anche di una predicazione monca, difettosa, a volte da "falsi profeti" che addormentano le coscienze, tentando di parlare solo "al positivo", solo di feste, gioia, risurrezione, trascurando la realtà del peccato, la necessità della redenzione, il rinnovamento del sacrificio della croce sull'altare. Non si insiste più abbastanza sull'obbligo della santa messa (vedi invece il can. 1247 CIC), né sulle disposizioni necessarie per parteciparvi (cfr. CCC 1387). C'è un grande rilassamento nella morale cristiana e nelle celebrazioni liturgiche. Le chiese sono diventate spesso musei, pinacoteche, sale da concerto. Le modalità con cui vengono celebrati i sacramenti, in particolare i matrimoni, ne degradano la sacralità. C'è poco silenzio e raccoglimento nelle chiese, anche durante o prima o dopo la santa messa.
In tutto ciò prevale lo spirito dei tempi che è uno spirito antropocentrico: al centro di tutto è posto l'uomo, la "comunità".
La messa tridentina, invece, favorisce il ricupero del senso di Dio, del sacro, tributando il retto culto a Dio e arricchendo lo spirito umano di grazia divina, di bellezza, quindi di felicità.

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