venerdì 25 aprile 2008

L'Apostolo dalla poca fede?

Nell'immaginario collettivo San Tommaso è colui che fa il pignolo, è colui anche che mentre Gesù risorge e appare agli Apostoli (che pure altamente snobbarono di andare in Galileia ad incontrarLo, tanto da continuare a grigliare il pesce (Lc 24,41)), lui si permetteva il lusso di essere assente...
Ma quali impegni fecero assente Dìdimo?
Ma soprattutto, per quale motivo questo Apostolo ottiene il privilegio singolare di un'apparizione supplementare? Eh sì, perchè credo che questo viepiù interessi a noialtri, ben indaffarati viceversa se non a grigliate, ad affari, commissioni, impegni, catechesi magari...O forse un'oretta di sano volontariato che sia il medico che il demonio scaccia via? O forse la nostra quotidiana timbrata di ticket alla Charitas o all'AC, che tutti fanno più santi e certi di celesti glorie?
No amici miei, la sorpresa è come sempre nello stile evangelico, cioè tra le più inaspettate e pruriginose: chè la salvezza, presso noialtri romani, deriva unicamente da quella professione di Fede che esattamente nemmeno Pietro e gli altri mancarono di fare. Come a dire che l'uomo è incapace a salvarsi da solo. E' tutto fatto da quel Divin Figlio: a noi non resta che amare l'unica cosa che ci ha lasciato, la Chiesa, i Sacramenti. L'adesione.
Ecco cosa meritò il privilegio e che buona parte dei goffi pretastri tace o ignora, forse perchè una tessera val più che un confessionile:

I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?».
[...] Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». (Giovanni 11,8.16)

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Matrimonio e contratto

Il matrimonio cristiano, cattolico ma pure protestante, è un contratto e solo quello.
Lo stesso contratto è elevato a Sacramento; al contrario, se ciò cadesse nella disgrazia di non essere così inteso, si potrebbe sottomottere il matrimonio alla potestà laica e sottrarlo alla potestà ecclesiastica, promulgando e propagando il cosiddetto matrimonio civile. Se ne ricava, quindi, che codesto matrimonio è contratto naturale, vero ed onesto.
E' tesi prossima alla Fede che contratto e Sacramento sono una sola e stessa cosa, guai a dividerli. E' lo stesso contratto ad essere causa efficiente di Grazia nei contraenti, i coniugi.
Ecco la proposizione del Sillabo condannata dal Pontefice Pio IX:

Matrimonii Sacramentum non est nisi quid contractui accessorium ab eoque separabile, ipsumque Sacramentum in una tantum nuptiali benedictione situm est.

E ancora il Concilio di firenze nel decreto pro Armenis: [...] Causa efficiens matrimonii regulariter est mutuus consensus per verba de praesenti expressus.


Insomma, è lo stesso contratto che produce il Matrimonio, cioè il Sacramento.
Il consenso dei coniugi, indipendentemente da ogni benedizione e formula sacerdotale, quindi anche senza di questa, produce il contratto naturale che è Sacramento. Tra contratto e Sacramento non c'è alcuna distinzione.
Il grande Manzoni, da quel grande esperto in dottrina cattolica qual era, ce ne offre un saggio nell'episodio dei Promessi Sposi, allorquando Renzo e Lucia cercano di sorprendere Don Abbondio e sposarsi di sorpresa, facendone un testimone forzato in seguito al Decreto Tametsi del Concilio di Trento che apponeva l'impedimento dirimente della clandestinità.
Con il Decreto Ne Temere, entrato in vigore a Pasqua del 1908 e accolto pienamente nel CIC del 1917, la Chiesa estende universalmente (precedentemente non c'erano i mezzi) i contenuti disciplinari del Tridentino, chiudendo ancora di più le maglie per i Ministri del contratto che erano e restavano unicamente gli sposi.
Infatti, la materia del sacramento del matrimonio è il corpo dei nubendi. Uno lo dona all'altro e riceve in cambio il suo corpo: contratto, compravendita, sinallagma. La forma è l'accettazione di quel contratto: sì!

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Morale e preservativo

La questione la considererei soluta solo a patto di chiarire alcune cose, stimolate da una personale discussione con alcuni studenti di teologia, asserenti la venialità morale dell'uso del preservativo.
Spero di organizzare al meglio quanto mi accingo a confutazione di quella.
Partiamo dalla fornicazione: la fornicazione è la copula consensuale tra due persone non legate da nessun vincolo di parentela, matrimonio, voto o ordine, se non quello precettivo di castità. Questo, per distinguerlo da ben altri casi più specifici, come lo stupro, che non è consensuale.
La copula è l'atto idoneo a generare la prole; può essere perfetta e imperfetta.

La copula perfetta consiste nella penetrazione con inseminazione; la copula imperfetta consiste nella penetrazione ma senza inseminazione.
La nostra attenzione è proprio sulla copula imperfetta, la quale se non procede alla inseminazione o interrotta, non è propriamente fornicazione, ma contatto impuro con orgasmo che può essere in altra parte completato...
Tuttavia, la copula imperfetta nella quale artificialmente si blocca l'effusione del seme, non è una semplice fornicazione (che rientra nei casi dei peccati iuxta naturam), ma onanismo, che differisce in specie essendo un peccato contra naturam. Peggio.
Cosa è l'onanismo? E' la copula attuata in modo tale che dall'effusione del seme non possa seguire la generazione.
Tra i vari mezzi predisposti a questo fine, si deve distinguere in relazione all'atto specifico e alla cooperazione del partner.
a) La copula naturalmente interrotta, ma il disordine morale interviene o durante o dopo: coito interrotto o detersione del "vaso" femminile. La colpa è di una sola parte.
b) La copula porta con sè il disordine morale già dall'inizio: preservativo, diaframma, spirale o pillole. L'atto pertanto è contro natura fin dall'inizio ed entrambe le parti in causa sono cooperanti.
L'onanismo è un attentato al matrimonio, alla dignità del coniuge e al bene della società.
Il Magistero lo dichiara intrinsecus malum, iure naturali prohibitum (Sant'Uffizio, 19 Aprile 1853; Enc. Cast. Con.)

E mi si conceda anche, qualora si insista sulla venialità, di domandare perchè mai Onan riceve la morte in castigo dal Signore per i suoi gravi delitti: introiens ad uxorem fratris sui semen fundebat in terram (Gen 38, 9-10).

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Simbolismo e Liturgia

Lo strutturalismo ci consente di capire meglio alcune cose che è bene vadano spiegate.
Saussure introduce le nozioni di significato e significante. Il significante (suoni, disegni, gesti) è il veicolo del significato, concetto espresso dal segno.
Senza dilungarmi in materia linguistica, vengo alle nostre lande.
Simbolo significa letteralmente una cosa che sta in relazione con un’altra, ossia ciò che rappresenta sensibilmente qualche cosa che non cade sotto i sensi. Così, ad esempio, nei primi tempi cristiani la conoscenza del Credo ed il segno della Croce erano simboli, segni che facevano riconoscere il cristiano.
Presa in senso ampio, la parola simbolo vale come segno sensibile, significante appunto, che può rappresentare qualche altra cosa; in questo senso tutte le azioni mimiche che il sacerdote compie nella Liturgia come inchini del capo o del corpo, genuflessioni, giungere le mani, sono azioni simboliche, elementi semiotici.
In senso stretto e per quanto ci riguarda, credo doveroso stringere le maglie e affermare che in senso stretto e rigoroso, simbolo è quel segno nel quale la mente scorge un’analogia con un’altra cosa dal segno generico, ma concreto e determinato proprio da quella cosa che è ordinato a rappresentare.
In specie, nella Liturgia il simbolo si distingue in:
1) Naturale e Soprannaturale. Il primo è quello che esprime una cosa che si trova nel medesimo ordine del simbolo stesso, come la corona e la regalità, lo scettro e il potere. Il secondo è quello che rappresenta un’idea di ordine soprannaturale, come l’altare è simbolo di Gesù Cristo.
2) Reale o Convenzionale. Reale quando la relazione è fondata nella natura della cosa stessa, ossia c’è una naturale corrispondenza fra il sensibile e l’intelligibile; è convenzionale quando non esiste una relazione naturale tra il significante e il significato, come la pianeta è simbolo convenzionale di carità o del giogo di N.S.G.C.
La domanda è: esiste una simbologia nella liturgia?
Tutti concedono che essendo il culto cattolico di ordine soprannaturale, anche il simbolismo, se esiste in esso, debba essere soprannaturale; e tutti concedono che nella liturgia si possa trovare il simbolismo convenzionale (io direi, illativo).
La questione allora si riduce a sapere se esiste anche il simbolismo reale.
Il monaco di Cluny Claude De-Vert, fiero giansenista, voleva mettere in luce le ragioni storiche delle cerimonie cattoliche, liberandole dal misticismo di cui fino allora le aveva circondate la tradizione cattolica. La sua opera apparve sul principio del secolo diciottesimo. Tentò pure di rovinare completamente il Breviario (vedasi il manuale di storia del Darras, Vol. II, pag. 442). Il Vescovo di Soisson, Mons. Languet, scriveva al suo clero contro il De-Vert: Io invece dico che l’intenzione della Chiesa riguardo alle cerimonie è stata questa sin da principio di non adottarne neppur una se non per ragioni affatto simboliche.
Se il primo peccava di difetto, il secondo peccava di eccesso.
Il simbolismo esiste realmente nella Sacra Liturgia. Dio stesso lo ha stabilito e ne ha consacrato l’uso nell’AT mentre i sacrifici, le pratiche religiose, le feste, il sacerdozio, il tempio erano pieni di simboli.
La figura scompare al sopraggiungere della realtà in Gesù Cristo, ma il simbolismo rimane e Gesù ne consacra l’uso. La predicazione, i miracoli di gesù sono spesso accompagnati da segni simbolici: nell’ultima cena con la lavanda dei piedi Egli volle significare la mondezza del cuore, e nella istituzione della SS. Eucaristia adoperò il pane che è simbolo dell’unione intima di Gesù con i fedeli, come professa la Chiesa stessa nella secreta della Messa votiva del SS. Sacramento.
Gli Apostoli stessi espongono il senso mistico della materia e delle cerimonie dei sacramenti: 1Cor 5,6; 1Cor 10,17; 1Cor 11,7; Rom 6,4; Col 2,12; Gal 3,27; Gal 5,9; 1Pt 3; etc…

La ragione stessa dimostra come l’attività cultuale debba essere accompagnata e perfezionata dal simbolo: le verità cristiane rivelate, espresse nel divin culto, sono piene di misteri, e quindi lo stesso Divin Redentore, per renderle intelligibili allo spirito umano, facevo spesso uso, nelle sue istruzioni di paragoni e di simboli: quale meraviglia quindi che anche la Chiesa, volendo nella sua liturgia esprimere la propria fede nei misteri e fatti del Cristianesimo, non s’accontenti in molti casi della parola imperfetta e passeggera; ma la dichiari e l’approfondisca mediante azioni simboliche, ovvero la imprima, per così dire, in simboli permanenti? (Valentin Thalhofer, Manuale di Liturgia cattolica, 1894)
Analogamente si può dire dei simboli liturgici quello che San paolo diceva dell’universo visibile: Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità (Rom 1,20).
E la Veritatis Splendor: Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore.
Questo simbolismo, affermano i protestanti, non fa che sovracaricare inutilmente il culto, distrae il ministro e il popolo, conduce ad un morto meccanismo, ad una vuota esteriorità insomma.
Analizziamo.
Le azioni esterne sensibili e simboliche del culto, mentre servono ad imprimere viepiù nell’animo le verità di Fede, sono assai efficaci a destare nei cuori sentimenti di pietà (concetto sconosciuto al mondo protestante). Ciò che distrae nel culto non è il significato simbolico delle azioni e delle cose, che è sempre ordinato al medesimo fine a cui è ordinato il culto, ma sono le novità liturgiche.
Il fedele nel ciclo delle feste , nel ripetersi delle funzioni, vede ripetersi sempre le medesime cerimonie, i medesimi simboli. Questi, mentre danno al culto una bella varietà e gli tolgono monotonia, dirigono passo passo il fedele negli atti del culto stesso. Sono forse distraesti o suadenti le commoventi cerimonie della Settimana Santa?
Neppure il discorso sulla presunta difficoltà di intelligenza del popolo risulta efficace. Ciò che infatti definisce il pregio del simbolo liturgico è proprio la sua facile intelligenza, la pratica efficacia, in proporzione della cultura e della pietà che ciascuno possiede.
Sentiamo ancora il Thalhofer: “Ciascuno a suo modo attinge dalle azioni simboliche un vantaggio religioso, secondo le sue forze e i suoi bisogni […] Spesso le azioni simboliche, nella liturgia cattolica, sono accompagnate dalle relative parole che servono come il commento, ma sono brevi, come, per esempio, il Lumen Christi; ed il loro concetto, come nello spogliar degli altari, è di carattere poetico ed universale, sicchè lasciano all’individuo ancora molto a meditare. Colui che non intende le parole può ancora ricavare grande frutto dalle azioni simboliche perché esse sono già di per sé, nella loro generalità, di facile intelligenza, per cui rendono popolare il culto cattolico, e ciò, tanto più in quanto la Chiesa nella liturgia, per profondissime ragioni, fa uso di una lingua morta”.
Ma ecco anche levarsi il mea culpa da parte protestante: il nostro culto perdette ogni attrattiva; la sua dignità e il carattere soffersero gran danno ed assunsero quello di una stanchevole monotonia: tutto ciò che era drammatico, nel senso più esteso della parola, è scomparso. Non vi fu mai religione sì povera nelle azioni del culto sacro, quanto il protestantesimo. (Samann)
La Chiesa che a Trento esaltò quindi l’influenza delle cerimonie sulla mente e sul cuore e la maestà che imprimono al sacro culto è così paradossalmente giustificata proprio dai suoi stessi detrattori storici.
Time is Judge.

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Platone, un cattolico isaitico

Oggi è giornata, ce l'ho con i preti per ragioni intime, ma così intime da dovermi procurare un neutromed per sgrassarmi di loro.
Avessero letto il Platone, già, Platone...Farebbero più bella figura quando aprono bocca questi teologiuzzi dalla perla facile e dal pirla a comando.
Tra ebraismi, esegesi, esegiasi, esegiosi, mi par di essere una capra che ristagna nel prato quando il suo posto è tra le vette.
Sono ignorante, puzzo persino, accompagno qualcuno quando morde tappeti e si rotola tra le ossa; se Cristo si è fermato a Eboli, la mia cronologia si è fermata all'800 e non mi muovo di qui fino a che ritornino a prendermi per tornare a casa.
Platone dicevamo, Platone...
Nel Secondo Libro della Repubblica (non il giornale di Mauro, achtung!) il filosofo della seconda navigazione di cebetica memoria descrive in Times New Roman il profilo del giusto, e per giunta, senza piantar ulivi a Gerusalemme.
"Un uomo semplice e nobile il quale, come dice Eschilo, non voglia sembrare ma essere buono.
Bisogna dunque togliergli l'apparenza della giustizia, giacchè se apparisse giusto avrebbe onori e doni per tale apparenza e non risulterebbe chiaro se sia giusto per amore della giustizia o degli onori o dei doni, perciò va spogliato di tutto. [...]
Abbia egli massima fama di ingiustizia, flagellato, torturato, legato....[...] dopo aver sofferto ogni martirio, sarà crocifisso."
Oddio. Leggiamo Isaia 53, uno dei passi più belli dell'intera Bibbia:
"Disprezzato e reietto dagli uomini,uomo dei dolori che ben conosce il patire,come uno davanti al quale ci si copre la faccia,era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima...[...] Noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato....[...] Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità."
Beata ignoranza, i cui figli pare che vengano allevati proprio nei Seminari e nelle Università Pontificie.

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Chiesa e autorità

Oggi più che mai è entrato in crisi il concetto stesso di autorità: nella politica, nella società civile e financo nella Chiesa, ove preti e Vescovi giocano al centrifughismo esasperato in nome di una mai esistita democrazia parlamentare, frutto senz'altro del malandato Illuminismo, nonchè del suo slogan "tollerante" (beninteso come relativismo, non come cristianamente possiamo intenderlo noi).
Perchè dunque la Chiesa avocherebbe a sè Potestà e Autorità, quando invece dobrebbe proporsi come annunciatrice di Regno e non già come Regno stesso?
Secondo il cattolicesimo enfant (non l'adulto), Chiesa e Regno di Dio si identificano. Il grande (si fa per dire) teologo protestante Auguste Sabatier, padre di ogni modernismo, nega ogni relazione fra la Chiesa e il Regno di Dio, asserendo che Gesù si sarebbe scandalizzato se avesse potuto prevedere tutto quello che gli uomini, nel nome e nell'autorità sua, presentarono al mondo come sua opera e suo pensiero.
Quanto è scientificamente esatto il suo vaticinio di una Chiesa spirituale: per Sabatier, all'apostolato libero e nomade succede il funzionarismo ecclesiastico sedentario, all'unità morale e nata da comunione dello spirito, succede l'unità esteriore e visibile, fondata sull'unità di governo, di riti e di dogmi. Sembra a me già di vedere scorrere nella mia mente schiere e schiere di Vescovi totalmente allineati con questo abito teologico...
Solo che il Sabatier chiama questa ancora teologia protestante (è proprio vero che sia il protestantesimo che l'ebraismo autentici non esistono più). E comunque, a questa teologia protestante, cosa hanno aggiunto di nuovo il modernismo e l'idealismo? Nulla.
San Tommaso interviene a specificare che Regno deriva da reggere, che è atto di provvidenza; perciò si dice che uno ha un regno in quanto ha uomini sotto il suo governo (providentia); dunque il Regno di Dio si dice in due sensi: unione di quelli che vivono nella Fede, e così la Chiesa militante è Regno di Dio a tutti gli effetti; unione di quelli che sono stabiliti nel fine ultimo, e così la Chiesa trionfante si dice Regno di Dio.
Stando al Vangelo, non si può escludere il concetto sociale e storico del regno di Dio. Ma anche nel Vecchio Testamento, Israele è civitas Dei: quando Gesù entra nella storia non corregge questo concetto, non modifica il contenuto essenziale, ma lo allarga, lo innalza purificato. Il Regno di Dio si estenderà ai Gentili e sarà biasimato il popolo giudaico per aver tradito la sua missione storica, strumento eletto per una divina missione mondiale.
I primi Apostoli così si mossero, non certo furono idealisti: S. Paolo ha perseguitato la Chiesa di Dio, S. Pietro nel concilio di Gerusalemme definisce una questione disciplinare e dottrinale, le lettere di S. Ignazio evidenziano il carattere unitario e sociale della Chiesa, S. Clemente nella rivolta di Corinto interviene con una vera e propria enciclica dei tempi nostri.
Ecco dunque l'attacco dei modernisti: la Chiesa di Dio non può e non deve "socializzarsi" e "storicizzarsi". Il criterio della cernita è nella nostra coscienza cristiana, a loro dire. Qui muore proprio la Teologia, poichè ha ragione Mariano Cordovani a dire che la teologia in questo caso si riduce ad una psicologia religiosa.

Ascoltiamo ancora cosa dice il padre di ogni modernismo, Sabatier:
Ciò che salva è la fede, non la credenza; la fede atto del cuore e della volontà, atto essenzialmente morale, per il quale l'uomo accetta il dono e il perdono di Dio; la credenza è atto puramente intellettuale per cui lo spirito dà la sua adesione ad un atto storico e ad una dottrina.
Insomma, a poco a poco, da una pura democrazia si passò alla monarchia assoluta: come il popolo cristiano abdicò nelle mani della gerarchia, così anche l'episcopato ha abdicato nelle mani del Papa. Non solo il Papa è custode della Tradizione, ma il suo creatore, con la sua parola ispirata e la sua decisione infallibile.
Qui davvero c'è il peggio del peggio, tra modernismo e veterocattolicesimo, l'impudicizia dei pensieri sghembi la fa da padrone.
Si cerca di presentare e colorire una fantomatica religione dello spirito, della quale la libertà sarebbe la forma, il vangelo il contenuto.
Ancora Sabatier: il metodo di autorità isola la teologia cattolica dal movimento scientifico generale e la mette nella condizione di non poter definire il suo oggetto particolare e di prendere come oggetto cose che non possono essere conosciute.
Qui si tratta di falsificare la storia e di negare anche l'evidenza, quando si asserisce che nel Vangelo non ci sono questioni dottrinali, che Gesù non ha istituito nessuna autorità docente, quando si considera l'autorità in opposizione alla religione dello spirito.
Il cattolicesimo non sarebbe religione dello spirito? Risposta: studiate bene la storia!
Ecco i germi della anarchia del pensiero che oggi ha il suo imperio proprio nelle maggiori e minori Curie...
A voi il resto delle considerazioni sulla necessità ed efficacia anche salvifica, non meramente disciplinare, della autorità e del governo.

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