venerdì 25 aprile 2008

Simbolismo e Liturgia

Lo strutturalismo ci consente di capire meglio alcune cose che è bene vadano spiegate.
Saussure introduce le nozioni di significato e significante. Il significante (suoni, disegni, gesti) è il veicolo del significato, concetto espresso dal segno.
Senza dilungarmi in materia linguistica, vengo alle nostre lande.
Simbolo significa letteralmente una cosa che sta in relazione con un’altra, ossia ciò che rappresenta sensibilmente qualche cosa che non cade sotto i sensi. Così, ad esempio, nei primi tempi cristiani la conoscenza del Credo ed il segno della Croce erano simboli, segni che facevano riconoscere il cristiano.
Presa in senso ampio, la parola simbolo vale come segno sensibile, significante appunto, che può rappresentare qualche altra cosa; in questo senso tutte le azioni mimiche che il sacerdote compie nella Liturgia come inchini del capo o del corpo, genuflessioni, giungere le mani, sono azioni simboliche, elementi semiotici.
In senso stretto e per quanto ci riguarda, credo doveroso stringere le maglie e affermare che in senso stretto e rigoroso, simbolo è quel segno nel quale la mente scorge un’analogia con un’altra cosa dal segno generico, ma concreto e determinato proprio da quella cosa che è ordinato a rappresentare.
In specie, nella Liturgia il simbolo si distingue in:
1) Naturale e Soprannaturale. Il primo è quello che esprime una cosa che si trova nel medesimo ordine del simbolo stesso, come la corona e la regalità, lo scettro e il potere. Il secondo è quello che rappresenta un’idea di ordine soprannaturale, come l’altare è simbolo di Gesù Cristo.
2) Reale o Convenzionale. Reale quando la relazione è fondata nella natura della cosa stessa, ossia c’è una naturale corrispondenza fra il sensibile e l’intelligibile; è convenzionale quando non esiste una relazione naturale tra il significante e il significato, come la pianeta è simbolo convenzionale di carità o del giogo di N.S.G.C.
La domanda è: esiste una simbologia nella liturgia?
Tutti concedono che essendo il culto cattolico di ordine soprannaturale, anche il simbolismo, se esiste in esso, debba essere soprannaturale; e tutti concedono che nella liturgia si possa trovare il simbolismo convenzionale (io direi, illativo).
La questione allora si riduce a sapere se esiste anche il simbolismo reale.
Il monaco di Cluny Claude De-Vert, fiero giansenista, voleva mettere in luce le ragioni storiche delle cerimonie cattoliche, liberandole dal misticismo di cui fino allora le aveva circondate la tradizione cattolica. La sua opera apparve sul principio del secolo diciottesimo. Tentò pure di rovinare completamente il Breviario (vedasi il manuale di storia del Darras, Vol. II, pag. 442). Il Vescovo di Soisson, Mons. Languet, scriveva al suo clero contro il De-Vert: Io invece dico che l’intenzione della Chiesa riguardo alle cerimonie è stata questa sin da principio di non adottarne neppur una se non per ragioni affatto simboliche.
Se il primo peccava di difetto, il secondo peccava di eccesso.
Il simbolismo esiste realmente nella Sacra Liturgia. Dio stesso lo ha stabilito e ne ha consacrato l’uso nell’AT mentre i sacrifici, le pratiche religiose, le feste, il sacerdozio, il tempio erano pieni di simboli.
La figura scompare al sopraggiungere della realtà in Gesù Cristo, ma il simbolismo rimane e Gesù ne consacra l’uso. La predicazione, i miracoli di gesù sono spesso accompagnati da segni simbolici: nell’ultima cena con la lavanda dei piedi Egli volle significare la mondezza del cuore, e nella istituzione della SS. Eucaristia adoperò il pane che è simbolo dell’unione intima di Gesù con i fedeli, come professa la Chiesa stessa nella secreta della Messa votiva del SS. Sacramento.
Gli Apostoli stessi espongono il senso mistico della materia e delle cerimonie dei sacramenti: 1Cor 5,6; 1Cor 10,17; 1Cor 11,7; Rom 6,4; Col 2,12; Gal 3,27; Gal 5,9; 1Pt 3; etc…

La ragione stessa dimostra come l’attività cultuale debba essere accompagnata e perfezionata dal simbolo: le verità cristiane rivelate, espresse nel divin culto, sono piene di misteri, e quindi lo stesso Divin Redentore, per renderle intelligibili allo spirito umano, facevo spesso uso, nelle sue istruzioni di paragoni e di simboli: quale meraviglia quindi che anche la Chiesa, volendo nella sua liturgia esprimere la propria fede nei misteri e fatti del Cristianesimo, non s’accontenti in molti casi della parola imperfetta e passeggera; ma la dichiari e l’approfondisca mediante azioni simboliche, ovvero la imprima, per così dire, in simboli permanenti? (Valentin Thalhofer, Manuale di Liturgia cattolica, 1894)
Analogamente si può dire dei simboli liturgici quello che San paolo diceva dell’universo visibile: Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità (Rom 1,20).
E la Veritatis Splendor: Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore.
Questo simbolismo, affermano i protestanti, non fa che sovracaricare inutilmente il culto, distrae il ministro e il popolo, conduce ad un morto meccanismo, ad una vuota esteriorità insomma.
Analizziamo.
Le azioni esterne sensibili e simboliche del culto, mentre servono ad imprimere viepiù nell’animo le verità di Fede, sono assai efficaci a destare nei cuori sentimenti di pietà (concetto sconosciuto al mondo protestante). Ciò che distrae nel culto non è il significato simbolico delle azioni e delle cose, che è sempre ordinato al medesimo fine a cui è ordinato il culto, ma sono le novità liturgiche.
Il fedele nel ciclo delle feste , nel ripetersi delle funzioni, vede ripetersi sempre le medesime cerimonie, i medesimi simboli. Questi, mentre danno al culto una bella varietà e gli tolgono monotonia, dirigono passo passo il fedele negli atti del culto stesso. Sono forse distraesti o suadenti le commoventi cerimonie della Settimana Santa?
Neppure il discorso sulla presunta difficoltà di intelligenza del popolo risulta efficace. Ciò che infatti definisce il pregio del simbolo liturgico è proprio la sua facile intelligenza, la pratica efficacia, in proporzione della cultura e della pietà che ciascuno possiede.
Sentiamo ancora il Thalhofer: “Ciascuno a suo modo attinge dalle azioni simboliche un vantaggio religioso, secondo le sue forze e i suoi bisogni […] Spesso le azioni simboliche, nella liturgia cattolica, sono accompagnate dalle relative parole che servono come il commento, ma sono brevi, come, per esempio, il Lumen Christi; ed il loro concetto, come nello spogliar degli altari, è di carattere poetico ed universale, sicchè lasciano all’individuo ancora molto a meditare. Colui che non intende le parole può ancora ricavare grande frutto dalle azioni simboliche perché esse sono già di per sé, nella loro generalità, di facile intelligenza, per cui rendono popolare il culto cattolico, e ciò, tanto più in quanto la Chiesa nella liturgia, per profondissime ragioni, fa uso di una lingua morta”.
Ma ecco anche levarsi il mea culpa da parte protestante: il nostro culto perdette ogni attrattiva; la sua dignità e il carattere soffersero gran danno ed assunsero quello di una stanchevole monotonia: tutto ciò che era drammatico, nel senso più esteso della parola, è scomparso. Non vi fu mai religione sì povera nelle azioni del culto sacro, quanto il protestantesimo. (Samann)
La Chiesa che a Trento esaltò quindi l’influenza delle cerimonie sulla mente e sul cuore e la maestà che imprimono al sacro culto è così paradossalmente giustificata proprio dai suoi stessi detrattori storici.
Time is Judge.

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