venerdì 28 marzo 2008

Sul celibato

Quella che qui offro non ritiene di presentarsi come una trattazione globale sul celibato ecclesiastico. Soltanto gli aspetti che al nostro blog ritengo utili saranno divulgati e meditati.
Comincio col dire che il celibato sacerdotale (da caelebs, celibe, non coniugato) è lo stato di celibe regolato dal diritto canonico al quale sono obbligati gli ordinati in sacris, quei chierici cioè che hanno ricevuto quelli che una volta, prima della lettera apostolica di riforma Ministeria Quaedam di Paolo VI, erano chiamati gli "Ordini Maggiori" (maioristi).
Il celibato è un istituto di diritto canonico (ius ecclesisticum) e non è divini iuris. In quanto regolato da ius ecclesisticum positivo, questo istituto sarebbe, in teoria, suscettibile di modificazioni. Contro queste ultime depongono certamente la infallibile Tradizione della Chiesa e il fatto che, malgrado le tante difficoltà che comporta, il celibato è stato in pratica realizzato.
Specifico che nel rito orientale, tanto chiamato in causa nei dibattiti su questo tema, se è vero che il celibato non è obbligatorio per i preti secolari (per dirla tutta, se già prete, un uomo non può sposarsi, ma se già spostato, può ordinarsi), è vero che per i monaci e per i vescovi è invece richiesto. E comunque, il matrimonio dei preti ha condotto a difficoltà maggiori di quelle cui ha condotto il celibato nel rito latino.
I presunti danni prodotti alla salute dall'astinenza sessuale non sono per nulla dimostrati. Se l'astinenza può in generale provocare qualche inconveniente alla salute, si tratta al più di modesti disturbi nervosi. E comunque, questi si verificano soltanto in persone psicopatiche, non adatte a sopportare l'onus sacerdotale, e che sarebbe quindi meglio scartare anche prima di conferire loro gli ordini (si veda, per completezza, il documento della Congregazione per l'Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale, dato a Roma il 4 Novembre 2005; si legga anche Optatam Totius, 10).
Non raramente, e duole riconoscere che un certo orientamentoi è penetrato fin nelle file del clero, si dice che il celibato non è adatto ai tempi attuali. Non è un caso che le obiezioni contro il celibato si servono delle formulazioni concettuali della filosofia dell'esistenzialismo e della psicologia di Jung.
Non sono nemmeno da trascurare, in una eventuale possibilità di abbandono del celibato, le estenuanti preoccupazioni che opprimerebbero il parroco coniugato e lo costringerebbero a dedicare il suo tempo, per amore di un guadagno suppletivo, a lavori estranei al suo ministero (polemicamente, biasimo la larga pratica che, pur legittimamente, vede i sacerdoti dedicarsi all'insegnamento sussidiario).

La concezione cattolica del matrimonio è la sorgente di una vera eugenetica. Se essa ridiviene patrimonio comune, i matrimoni torneranno a essere spontaneamente prolifici e fecondi. Il numero dei sacerdoti che a causa del celibato non contribuiscono all'incremento della popolazione non può rappresentare una deficienza sensibile in un organismo nazionale sano e biologicamente funzionante, anzi costituirà un inestimabile valore aggiunto quanto alla paternità spirituale a difesa della purità del matrimonio quale fondamento della società.
Da un punto di vista squisitamente disciplinare vi sono assai più motivi a favore che contro il celibato; come accennato poco sopra, primo fra tutti la circostanza che solo un sacerdote non legato dalle preoccupazioni familiari è in grado di intervenire in qualsiasi momento, con la libertà e l'indipendenza necessarie, in favore della purità della dottrina e dei costumi, opportune et importune, anche contro la veemenza degli stati totalitari (e ricordo il martirio di migliaia di sacerdoti, solo per fare un esempio, nella Rivoluzione Francese o nella Spagna degli anni '30). Il sacerdote non può essere diviso, la sua missione esige dedizione totale, un vacare Deo assoluto.
I compiti della paternità spirituale sono assai difficilmente compatibili con i gravi doveri della paternità fisica. Non però che stia qui affermando una assoluta incompatibilità, ma certo una notevole difficoltà.
Il matrimonio dei preti non è affatto quella panacea semplice e infallibile che si vuol far credere. Se si ritiene che la natura umana sia troppo debole per soddisfare all'eroica esigenza del celibato, non ci si deve nascondere che anche il matrimonio cristiano pone pone alla natura umana delle esigenze spesso più gravi. Nessuno stato, insomma, può far fronte ai propri doveri senza la Grazia.
Un buon celibato è un edificante esempio del potere dello spirito sull'istinto, quindi è un baluardo protettivo anche per il matrimonio sacramentale. Il celibato, obbligatorio per tutta la Chiesa latina dopo la riforma di Cluny (1100 ca.), ha dato buona prova.
Non si può affatto esaurire l'essenza della verginità e del celibato dal solo punto di vista morale. Si tratta, in definitiva, di un atto liturgico, di un sacrificio offerto a Dio per la salvezza delle anime. In questa concezione non vi è assolutamente alcuna sottovalutazione della sessualità, anzi vi è piuttosto un alto apprezzamento di essa, in quanto valore di vita, in quanto bonum excellens (S. Tommaso).

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