venerdì 29 agosto 2008

Juno e il possibile ciclone etico

Film disossante questo Juno, almeno per quanto è concesso di capire ad un polveroso reazionario come me.
Uno di quei film che tranquillamente ti vedresti munito del solito kit cinefilo di popkorn e cola, magari a fianco della tua ragazza, ma che alla fine rischia di farti andare di traverso la commediola sdolcinata che intanto ti saresti figurato in quella mente da smagato borghesone modernista, imbevuto di slogan, di sussiego e di futurista panglossismo. Ma...
Fare i conti con Juno è come depilarsi ad ogni sequenza di immagini e soprattutto ad ogni passaggio dei dialoghi (davvero apprezzabili), perchè la ghiandola pilifera che le sferzanti parole di strada di quella deliziosa ragazzina vanno a colpire, consta di sedimentati strati di omologazione culturale ad una ideologia che esclude, o meglio, reclude il miracolo della vita nella sfera delle cosiddette "scelte personali", al pari di una t-shirt rossa o blu, di un ceesburger con o senza cipolla.

Val il piacere di vederlo questo filmetto tanto scomodo per l'internazionale femminista quanto apprezzato dalla gente comune che non comprende come si possa mettere sul giornale annunci su "come avere bastardi, al pari di pappagalli e iguane".
Juno è semplicemente una ragazza che dice NO all'aborto!
E non si sopporta che una donna possa decidere e aprire, contrariamente, al possum, al volo. Giustappunto la volontà di questa ragazzina è il perno del film, atto espressivo di una tale potenza antropologica che lascia sgomenti famiglia e amici, rifiutando il raschiamento in una clinica femminista che sa di "anticamera di dentista" con nevrotiche vittime-pazienti, e dove le viene offerto, a conferma del nesso taciuto tra contraccezione e aborto, un preservativo al lampone affinchè il pisello sappia di crostata. Juno trova una coppia disposta ad allevare il suo "fagiolo" tra gli annunci, vicino la sezione "uccelli esotici". Dopo tutto bisogna solo "spremere e fare uscire il fagiolo"...
Juno è piccola, non ancora pronta per la maternità perchè "bisognerebbe innamorarsi prima di riprodursi": ma la sua opzione di libertà non si esercita nella negazione della vita.
Il film riesce ad essere non già un banalotto compromesso laico, ma, a mio parere, una piattaforma di partenza piuttosto.
Meglio la modernità sublime della ruota del convento medievale, meglio darlo in adozione dopo averlo fatto, il pesciolino. E' lo scacco inaspettato giocato al veterofemminismo, lo sberleffo, il pernacchio sonoro ai tumulti chiassosi dei professionisti della piazza che agitano paroloni di cui non ne conoscono nemmeno il senso. E sì, perchè quando un tecnico ecografo si improvvisa consulente morale di una adolescente, è come ammettere plausibile che un tecnico delle unghie si occupi di teologia. E nel film, questa mia deformazione, è espressamente emendata dalla matrigna di Juno.
Tutto si può fare, nel tempo in cui si è liberi di scegliere, tranne uccidere i bambini nel seno delle loro madri. E una società che civile voglia definirsi, con quale credito morale si presenta agli occhi delle sue varie componenti umane se considera più dignitoso salvare il Panda o il Gorilla, tutelare la biologicità del pomodoro San Marzano
dell’agro sarnese quando vuole trasformare l'utero della donna nel più grande laboratorio del III millennio?
La chiave della storia è il "no, grazie" all’aborto. Deciso così, con la leggerezza di un passo esistenziale qualunque, ma dovuto a qualcosa di misterioso, una sorta di eleganza dello spirito, un tributo spontaneo all’amore e alla responsabilità. Però, ecco la sorpresa modernissima e anche antichissima, degna, come detto, della vecchia ruota del convento ma nelle forme del XXI secolo, quel no è compatibile con il rifiuto della modernità. Per Giove!
I ragazzi pare siano costruiti per fare sport, per consumare immagini, per fidanzarsi e sfidanzarsi a caso, non sanno letteralmente che cosa nella loro esistenza superi la dimensione dell’ormonale, la piattezza dei desideri senza molta speranza. Le loro pulzelle fricchettone invece la sanno lunga, e il film parla alle donne e solo a loro: sono ciniche quanto basta per sembrare credibilmente un pezzo di realtà e di società. Hanno il sogno incorporato nella loro natura umana creaturale, danno vita al mondo, senza se e senza ma.
Juno parla del vero potere femminile, che è un’alleanza di natura e cultura anche inconsapevolmente vissuta, un’allegria di vivere che trionfa non appena si spegne, nella fila alla clinica dove le vecchie generazioni di donne avvilite dall’ideologia si grattano, si graffiano e si maltrattano, la coazione a odiarsi e a mutilarsi dell’altro-da-sè.

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giovedì 14 agosto 2008

Famiglia s-cristiana

In questi giorni infuria la polemica su Famiglia Cristiana.
Il Direttore della Sala Stampa Vaticana, Padre Lombardi, fa sapere che Famiglia Cristiana non ha nessun titolo per rappresentare la posizione della Santa Sede e della CEI.
Era ora.
Meglio che non intraprenda la disamina delle autentiche porcate teologiche scritte negli anni da questa rivista da spiaggia nudista, visto che, comunque, i culi ce li ha già inseriti ufficialmente da Novembre 2005. Anche la "famiglia cristiana" ha un culo. Che mondo eccezionale!
Il culo "Cristiano" ce lo abbiamo già. A quando la gnocca "Benedetta"?
Ma veniamo a noi e ad una breve riflessione (correrei il rischio di infestare anche questo santo angolo di buon senso editoriale).

Questa rivista, che troneggia sui tavolini delle nostre parrocchiette, spacciata come "cattolica" ma che di cattolico non ha niente se non il culo (questo sì, molto cattolico!), ha trasformato (ma forse è stato sempre così) le sue pagine in falci e martello da ideologismi della sinistra castrista. Per non parlare delle fregnacce dei vari teologi che si aggirano per la rivista (come Falsini) o di presunti abati (e chi lo ha mai benedetto?), come Enzo Bianco, di presunte comunità monastiche (con quale approvazione pontificia e quale inquadramento canonico?). E' una rivista da buongustai dell'incontinenza verbale e della ciarla luogocomunista. Rivista da compagnucci della parrocchietta, da rivoluzionari conciliaristi alla Melloni, da democristiani alla Dossetti.
Un tipo di cattolicesimo con tanta panna e miele, il volemose bene cartaceo del cattolicesimo militante che fa soldi a palate con la boutade della solidarietà e del volontariato (questo tipo di cattolicesimo è stato il primo a capire che il cosiddetto volontariato è la porta di servizio per entrare nel mercato affarizio delle clientele e dei "piazzamenti" sociali; tanto è vero che la sinistra, che fessa non è, ne fa il verso e cerca di accaparrarsi il mercato immigratorio e sociale con le coop).
Il direttore della (ex) mite rivista dei Paolini ha capito che se continuava a servire camomilla, forse sarebbe riuscita a garantirsi il mercato delle perpetue e dei don Abbondio, ma avrebbe dovuto attrezzarsi a essere venduta non solo nelle chiese ma anche nelle cappelle cimiteriali.
E allora si mette a fare il politicante e il maestrino.
Quando c’erano in ballo i Pacs, le unioni di fatto, chiamate in Italia "Dico", Famiglia cristiana intervistò per due pagine la Bindi che difendeva le sue idee pro-Dico, e diede dodici righe al Papa che li scomunicava. Titolo di copertina ambiguissimo: "Meno Dico e piú famiglia". Si deve pur galleggiare. Semmai è su posizioni di etica sociale che Sciortino può traballare. Non per la politica...
Con il suo azzeccagarbugli e compagno di merenda, il gesuita Bartolomeo Sorge (da cui l'autore di questo blog attende ancora una risposta alla polemica personale su alcune questioni dottrinali), spara a zero sempre sul Berlusca e le politiche "reazionarie" italiane, forse per conservare il suo posto di direttore: basta urlare e si conserva il posto, per la nota attitudine vaticana a evitare gli scandali...
Insomma, Don Sciortino meriterebbe che il tavolo delle sue cartuccelle prodiane gli fosse tirato in testa da quell'energumeno reazionario di nome Camillo. Prete almeno quanto lui.


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mercoledì 6 agosto 2008

Fosse Ardeatine: fu giusto

Il mestiere delle armi è il più antico. Questo blog non è pacifista, ma professa la pace nell'Ordine, che è ben diverso. Il pacifismo è un istmo, un'ideologia. Come tutte le ideologie, è cieco, astratto, orizzontale, violento (sì, violento) e fumoso. Non è latore nè di valori, nè di progetti. Il pacifismo è ateo, innaturale, contorto e criminale. Il pacifismo è neutro, non presuppone nè suggerisce una verità. Cristo non fu mai pacifista (e come può la Verità assumere i caratteri della neutralità?): i frequenti ricorsi al termine "pace", sia nel VT che nel NT della Bibbia, non sono mai disgiunti dal concetto di ordine e "pace da Dio". Non comprenderemo mai il significato della pace cristiana al di fuori del concetto di verità, di ordine, di equilibrio, di gerarchia. Pensate, appunto, alla cattedrale gotica e al suo senso di progressione estetica e teologica dall'esterno (i gargoyles) all'interno (il sancta sanctorum, centro liturgico e sacro del Tempio). E' indicativa dell'universo gerarchico, ordinato di quello splendido periodo storico di rinascimento che fu il cosiddetto Medioevo: La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove (Dante, Divina Commedia, Pd. I, 1-3).
Chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. (Luca 22, 36.37)
La Verità costa il prezzo che ha l'esclusione, l'imputazione e la condanna: cum iniustis deputatus est.
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. (Matteo 10,34)
Nella dottrina cattolica la guerra non sempre è illecita: la guerra - calamità spaventosa - sia difensiva che offensiva può essere lecita, quando vi è un motivo giusto tanto grave da permettere mali gravissimi quali sono quelli connessi con la guerra stessa (Jone, Compendio di Teologia Morale, 220).

Ad esempio, la liceità risulta in genere dal fatto che è permesso difendersi contro un ingiusto aggressore (la cosiddetta "guerra preventiva" di G. Bush non è proprio una castroneria giuridica).
Nella condotta della guerra è lecito tutto ciò che è necessario o utile al raggiungimento del fine, purchè non proibito dal diritto naturale o divino o dal diritto delle genti.
Attenzione: abbiamo detto diritto naturale, divino e delle genti.
Sentiamo come recita l'art. 51 della carta dell'ONU: nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite.
Dunque gli USA sono intervenuti lecitamente in Iraq e Afganistan.
E anche la Convenzione dell'Aia: la popolazione ha l'obbligo di continuare nelle sue attività abituali astenendosi da qualsiasi attività dannosa nei confronti delle truppe e delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà, come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli ostaggi.
Ecco il diritto di rappresaglia, sancito dal diritto internazionale. E siamo all'attentato di Via Rasella, in conseguenza di cui ci fu la legittima rappresaglia delle Fosse Ardeatine da parte delle forze naziste.Secondo il diritto internazionale (Art. 1 della convenzione dell'Aia del 1907) un atto di guerra materialmente legittimo può essere compiuto solo dagli eserciti regolari ovvero da corpi volontari i quali rispondano a determinati requisiti, cioè abbiano alla loro testa una persona responsabile per i subordinati, abbiano un segno distintivo fisso riconoscibile a distanza e portino apertamente le armi. Ciò premesso, si può senz'altro affermare che l'attentato di Via Rasella, quale ne sia la sua materialità, è un atto illegittimo di guerra per essere stato compiuto da appartenenti a un corpo sì di volontari che però, nel marzo 1944, non rispondeva ad alcuno degli accennati requisiti.
Lo Stato, solo successivamente, considerò come propri combattenti i partigiani che avessero combattuto contro i tedeschi.
Contrariamente alla vulgata Priebke non è stato condannato per la fucilazione delle Fosse Ardeatine. Tale atto, col termine di rappresaglia, rientra nel codice internazionale di guerra e prevede l'esecuzione di dieci ostaggi per ogni vittima di un attentato compiuto da forze non in divisa. La condanna, che era stata inizialmente comminata solo al superiore diretto, Kappler, era derivata dal fatto che i fucilati furono 335 a fronte di 33 soldati assassinati con terrorismo dinamitardo in via Rasella dalla cellula comunista di Capponi e Bentivegna. Attentato che i comunisti compirono non solo perché causò l'eccidio di soldati tedeschi disrmati della sussistenza ma portò alla rappresaglia che decapitò buona parte della dirigenza partigiana non legata al Pci, ai "popolari" (Dc) e al partito d'azione.
Il caso Priebke è quello di un abominio giuridico. Processato una prima volta non fu ritenuto colpevole del numero eccessivo di cinque fucilati (unica accusa mossa) essendo la verifica del numero un compito che spettava a Kappler. La difesa non entrò in merito argomentando che a via Rasella oltre ai 33 soldati tedeschi vennero assassinati tre civili italiani, tra cui un bambino, e che in linea teorica la rappresaglia poteva forse essere considerata legittima fino a 360 uomini.
Fu molti decenni dopo che, presi dalla foga del castigamatti global, e utilizzando in modo molto disinvolto la non prescrizione del "crimine contro l'umanità" certi signori reclamarono Priebke dall'Argentina e lo processarono nuovamente infrangendo ogni elementare diritto alla difesa. Priebke venne assolto dal delitto più grave ma mantenuto in prigione con la forza, riprocessato una terza volta e infine sacrificato sull'altare del giustizialismo spettacolo.

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domenica 3 agosto 2008

L'ineguaglianza degli uomini

Senza l'assoluto rischio della trascendenza, tutto è uguale, poichè la differenziazione gerarchica è priva dei suoi costituenti fondativi: l'asse assiologico risulta essere sostanzialmente orizzontale.

L'uguaglianza degli uomini è un reato contro la natura.
Come altrove accennato (La Modernità), la modernità si costituisce come frattura, perversione che non smette di affascinare anche le frange più reazionarie, o sedicenti tali.
Nemmeno il cattolicesimo ne è immune, giacchè il Novecento segna l'ingresso compiaciuto della eresia nelle prassi pastorali, offrendo, altresì, la possibilità non remota di corrodere il telaio dottrinario fin qui ancora mondo da certe concessioni.
La combustione del pensiero filosofico occidentale deve alla crisi della metafisica il suo principio reattore. La modernità non è che la manifestazione di processi dissolutori della tradizione, della cabala così come giunta e custodita fino a noi.


Ad un certo punto della storia, si introdusse una prassi intellettuale di demolizione dei fondamenti che da sempre costituivano i principi della società a direzione aristocratico-religiosa. La civiltà, fin lì, aveva sempre riconosciuto come uniche sorgenti di legittimazione morale del potere politico tre attività nobilitanti: l'amministrazione del Sacro, l'arte della guerra, il lavoro della terra.
Si concordò di opporsi a quelle coordinate di comprensione del mondo, ponendo tra parentesi l'esperienza cristiana (liquidata col termine di "Medioevo") e costituendosi arbitrariamente senza soluzione di continuità in contatto con la cultura classica.
Nacque l'Umanesimo.
L'aristotelismo era inadeguato per la soluzione della complessità del mondo e la trascendenza scese al rango di mera ipotesi affiancata ad altre di altro tipo. La spinta soprannaturale delle cose è ormai sperimentata come un fatto privato (ben prima, quindi, delle arroganze laiciste della rivoluzione totalitaria francese), oltre il cui solco v'è soltanto superstizione.
Da qui la motivazione della ribellione luterana: è l'annuncio dell'eclisse di Dio come partecipazione istituzionale, corale, sociale, come ermeneutica stessa della società.
Si articolerà poi, ma trovando il suo fondamento in questa nuova configurazione culturale, la secolarizzazione dell politica e una vera e propria trasfigurazione religiosa della sovranità, dove, mancando la ricapitolazione trascendentale delle cose, lo Stato si prevede fondamento della morale e vero e proprio potere spirituale. Cesare è Dio.
L'atomizzazione della civiltà agraria, dunque, rende possibile lo sviluppo di un'etica che riconduce l'individuo all'esterno del perimetro di valori costituito dal binomio di sangue e suolo. La nuova economia, peraltro, ideata e avviata proprio in Italia, disarciona l'uomo dai contesti identitari che lo caratterizzano, lo specificano, lo "fanno". La nuova logica del mercato è astratta, fumosa, il mito umanista dei diritti universali è astratto, la chimera dell'universalismo profano è astratta.
Non c'è più l'uomo, quello vero che vive e parla una lingua, che ha una religione ed è parte di una comunità, inserito in una storia e latore di una specifica cultura (in qualche modo, l'uomo dei capp. 2 e 4 della Germania di Tacito): c'è l'appiattimento, prima che sociale, antropologico di un uomo identico agli altri.
Privato della sua naturale tensione oltretombale, trascendente, l'uomo è belva.
Come una belva, infatti, l'uomo moderno scopre un orizzonte di terre inesplorate, l'abisso etico, la privazione del senso: nasce anche il romanzo moderno, dove però l'eroe non è più Enea che si fa carico del padre Anchise, la Tradizione. L'estinzione delle antiche classi dirigenti militari e spirituali lascia il mondo sgomento.

La fine del Kathekon
La teoria gelasiana dei duo luminaria e la filosofia tomista affidano al potere temporale la funzione di Kathekon, l'"ostacolo" al prevalere delle forze dissolutorie dell'Anticristo.
L'Impero Romano prima (non a caso Cristo "sceglie" quel momento per l'Incarnazione, in un momento in cui l'ordine era fondato sul diritto e garantito da un'autorità), il Sacro Romano Impero dopo, rappresentarono storicamente il kathekon dell'Occidente, il contenimento e la preservazione da volontà esogene di smarrimento dei principi costitutivi della Cristianità europea. Il presidio della verità cattolica in tutta la sua pienezza e la sua intemerata predicazione aveva il potere di frenare lo sviluppo della perversione e delle forze del male anche nel mondo laico e fra i non cristiani: era, quindi, il kathekon, soprattutto un disegno di organizzazione metapolitica della società.
Oggi, invece, una tipologia di organizzazione semplificatrice, antigerarchica e anticastale egemonizza e guida i progetti di costruzione del patto sociale fra i soggetti: l'ideologia democratica.
Ideologico è, infatti, l'assioma della semplificazione dell'uomo. L'ineguaglianza, viceversa, non è ideologica poichè la sua stessa missione è quella di restituire l'uomo alla complessità delle sue dimensioni plurali, alla eterogeneità delle sorgenti di formazione , alle varie declinazioni esperienziali: il ripristino della poliedricità nell'ordine. L'ineguaglianza è Ordine, poichè ramifica il corpo sociale in ulteriori corpi e articolazioni organiche, in cui il processo di accoglimento della universalità è mediato e non traumatico, non conflittuale.
La blaterata uguaglianza è frammentazione, è polverizzazione patologica dell'uomo scaraventato in un mondo nato sull'assurdo storico del primato della ragione.
Il Medioevo aveva reso architettonicamente questa verità attraverso lo stile gotico. Dante con la Divina Commedia. Manzoni con la tematica della Provvidenza.

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