lunedì 25 febbraio 2008

Il Cristianesimo è un movimento giudaico?

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La ricorrente solfa, che pare blandire pure insospettabili lembi di cotanto presunto tradizionalismo, è che il cristianesimo sia un movimento giudaico, fondato sul regno messianico, che un cambiamento rapido e importante poi fece invece una religione accettabile per il mondo greco-romano e per l’umanità intera.
Sembrerebbe che ad imprimere questa svolta siano stati San Paolo, San Giovanni, San Giustino, Sant’Ireneo ed Origene.
Non fa difetto a questa interpretazione del fatto cristiano, il considerare naturalisticamente Cristo di origine puramente umana, è evidente. Infatti, considerandolo come un semplice mortale (Augias-Pesce), che vivendo col suo tempo e conoscendo perfettamente i difetti e i pregiudizi del suo popolo, desidera sollevarne le condizioni morali e si sforza di procurare loro un religioso rinnovamento, non si fa altro che avvalorare la tesi del “prolungamento” giudaico che sarebbe il cristianesimo, una sua sofisticazione.
San paolo avrebbe nei fatti creato la dottrina della preesistenza del Messia e formulato la teoria della redenzione. E il contatto con l’ellenismo dà motivo a San Giovanni di elaborare la sua dottrina del Verbo. Ciò che poi avevano iniziato gli Apostoli fu completato mediante le dottrine dei Padri della Chiesa del II e III secolo, imbevuti di filosofia platonica (Giustino, Ireneo, Origene); imbevuti di ellenismo, crearono il dogma cristologico. Ecco che si ottiene e si sforna la paccottiglia cristiana.
Si tratterebbe allora di dimostrare che la dottrina cristiana non trae origine dal giudaismo, coll’evidenziare che alcunché di nuovo fu aggiunto dalla Chiesa al contenuto di essa.

Usiamo un metodo infallibile: aggrediamo la tesi del coacervo di culture, secondo cui le speranze messianiche, frammiste alla mitologia pagana e alla filosofia greca, dovevano necessariamente produrre la religione cristiana; e che il giudaismo non è solo stato al cristianesimo di preparazione, ma lo avrebbe proprio procreato.
Basti considerare il solo mistero della Santissima Trinità per provare come la nuova rivelazione si elevi molto al di sopra del giudaismo. Non poche altre cose giudaiche, ad esempio il matrimonio, non potrebbero reggere il confronto con quelle insegnate da Cristo. Il cristianesimo non deve affatto alla cultura del tempo la sua origine e il suo sviluppo. Fu soltanto conseguenza e divina opera esclusiva di Cristo stesso.
Il fantasma del cristianesimo giudaico rappresentato da Pietro, cui si opporrebbe quello romano di Paolo, è alquanto evaporato. Secondo l’indole e lo scopo dei loro scritti comincia ad apparire innanzitutto presso S. Giovanni la figura divina di Cristo; presso San Pietro l’umana, quele tipo della sua vita santa; presso S. Paolo la pienezza del Redentore Dio-Uomo.
Paolo accentua la fede, Giovanni l’amore, Pietro la speranza; ma tutti non fanno che insegnare la dottrina che ricevettero da Cristo stesso, il cui divino contenuto era universale. Fu dunque la universalità del cristianesimo, come appare dalla prima predica di San Pietro alla Pentecoste, il mezzo per cui fu conquistato il mondo. Fu per questa sua specialità posseduta sin da principio di sua propria natura e di sua prerogativa di fronte al giudaismo particolareggiante e di fronte a tutte le altre religioni del mondo, che potè compiere ciò.
La Rivelazione contiene certe verità che la ragione naturale può comprendere, ma ne contiene altre che resteranno sempre segrete alla semplice natura umana. Gli attacchi dei dotti pagani e il bisogno che si sentiva di approfondire maggiormente il contenuto dottrinale della rivelazione, fecero sì che lo si sviluppasse scientificamente e lo si riconducesse a sistema. Nel fare questo lavoro intellettuale si dovette naturalmente tener conto di ciò che il mondo possedeva, quali elementi istruttivi, concetti e terminologia. E questo proveniva in gran parte dal mondo greco.
La connessione del cristianesimo con la filosofia greca era una fase dello sviluppo interno, fondata sulla natura delle cose. Il compito, l’obiettivo era creare un sistema dottrinale completo con i singoli detti di Cristo e le espressioni degli Apostoli, e di farlo pervenire ad un maggiore svolgimento ed a una forma più ordinata.
Non a caso, fuori della Chiesa, la comunanza del cristianesimo con la filosofia greca conduceva alle eresie.
Viceversa, sotto la direzione della Chiesa, essa era il ricettacolo, potremmo dire, nel quale la sostanza della dottrina cristiana trovava un’espressione che meglio si confaceva a quei tempi. Questo cristianesimo relativo alla seconda Corinzi 2,17, era secondo il contenuto sempre lo stesso.
Quando dunque si viene a parlare dello sviluppo della dottrina cristiana come se il contenuto o la natura di essa si fosse andata sviluppando gradualmente, tale affermazione non è storicamente falsa, ma contiene altresì una negazione della divinità sia di Cristo che del Cristianesimo.

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